La “strana estate” del tamburello a muro

Il tambass nel Monferrato vive la sua strana estate: da un lato si gioca (come se nulla fosse) e dall’altro si aspetta la sentenza di un tribunale sportivo che ha sede a Padova e dovrà decidere sul cosiddetto «scandalo dei punteggi». Cioè quelli attribuiti ai giocatori delle nove squadre per «equilibrare» le forze in campo e diventati invece un gigantesco «boomerang» per il torneo.

La Federazione

Intendiamoci: non è capitato tutto per caso. E la Federazione, con il suo nuovo presidente, il bresciano Edoardo Facchetti - da qualcuno accusati di essere poco più che degli «intrusi» nella vicenda («loro stanno a Mantova o Roma, che cosa ne sanno del tambass e del Monferrato?» è la sintesi degli «autoctoni» a tutti i costi) - non poteva non intervenire. 
Peraltro il torneo monferrino assegna anche uno scudetto tricolore: come avrebbero dovuto comportarsi i vertici federali? «Non vedo-non sento-non parlo»: far finta che il caso non ci fosse? Come in una grottesca commedia degli equivoci? 

Il rischio separazione

E se il «tambass» salisse su un virtuale «Aventino» degli sferisteri, dove troverebbe le risorse umane (i giocatori) per dar vita al torneo? In un mondo (anche sportivo) globalizzato, vale ancora il principio delle «enclavi»? Dei mondi «separati»? 

Interrogativi 

Domande da girare agli organizzatori di un torneo che era partito sotto i migliori auspici, con valori tecnici elevati e un seguito di pubblico che l’«altro» tamburello, quello open, attualmente neanche s’immagina. Eccolo, il «peccato originale» di tutta questa vicenda, la grande occasione perduta: il «muro» (che è vero, non è sempre amatissimo da chi governa l’open) si stava di fatto, prepotentemente, ma anche autorevolmente, candidando a recitare un ruolo «totale» e totalizzante in un momento storico in cui il tamburello, l’«altro tamburello» attraversa un’indubbia crisi di identità. 
Poteva diventare anche, con un po’ di fantasia, il valore aggiunto da mettere nelle finali per il titolo tricolore assoluto: la vincente del «muro» che se la giocava con le grandi dell’open. Magari con una delle due gare di finale disputate proprio all’ombra dei bastioni. E l’eventuale «bella» da lasciare sul «libero», perchè questo si richiede per la regolarità dei campionati (anche a se va a scapito delle piazze, dove il tambass è nato: la stessa considerazione vale del resto anche per i «cugini» del balòn). 
Ma certo una proposta/richiesta del genere avrebbe ora serie probabilità di essere «cassata». 

La classe dirigente

E dunque? Qual è la morale che emerge? Che ancora una volta sono mancati i dirigenti, quelli che avrebbero dovuto e potuto «traghettare» il muro verso nuovi ambiziosi «traguardi», anche fuori da quell’enclave territoriale che si chiama Monferrato. 

Se cade il modello

La squadra ideale, se vogliamo, c’era, era già pronta: il Grazzano pluricampione, con il suo leader naturale, Vittorio Fracchia, poteva fare da apripista e dire la sua su ogni terreno. Un paese che ha cresciuto tanti talenti, qualcuno (vedi Biletta jr.) anche «costretto» al ritiro per i punteggi (ma questo è un altro discorso e meriterebbe di essere approfondito: perchè non si possono perdere giovani così per strada, sacrificati sull’altare di una «quotazione» virtuale). Il Grazzano comunque aveva tracciato una via nel mondo del tambass. Era la «nave scuola», il modello, anche organizzativo, a cui ispirarsi. Ma tutto è franato. 
E non basta dire adesso: «Siamo i più forti, anche senza terzini». Quando si mettono le regole bisogna rispettarle. È elementare, ma necessario.

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