Addio a Feliciano Gaggioli ha raccontato lo sport "in diretta"

FELICIANO GAGGIOLI AVEVA 83 ANNI

CESARE MARTINETTI RICORDA ITO DE ROLANDIS

Il giornalismo astigiano piange un'altra sua storica figura. È mancato Feliciano Gaggioli, giornalista sportivo della carta stampata e della televisione. Aveva 83 anni e abitava in zona Don Bosco. Ieri l'ultimo saluto. 
Gaggioli, ma tutti lo chiamavano solo per nome, Feliciano o Felix, era stato dipendente Asl. Tantissimi lo ricordano allo sportello prenotazioni di via Orfanotrofio in coppia con un altro volto noto del mondo sportivo, il tamburellista Aldo Cerot Marello. 
I due erano colleghi e molto amici: «Abbiamo lavorato insieme per 20 anni – racconta il campionissimo del tamburello astigiano –. È stato un amico carissimo. L'avevo sentito due mesi fa e ci eravamo ripromessi di vederci appena finita l'emergenza del Coronavirus. Avevamo parlato un bel po'. C'è sempre stato un affetto molto sincero tra noi». 
Molti giornalisti sportivi astigiani gli sono debitori perché era uno scopritore di talenti. Aveva collaborato per Tuttosport e poi per diversi settimanali locali. Aveva collaborato anche con Radio Asti le sue radiocronache domenicali delle partite dei «Galletti» erano un appuntamento atteso e seguito. Negli anni'90 era stato uno dei principali protagonisti dell'epopea delle televisioni locali prima a Tele Asti, poi a Telesubalpina e quindi a Quarta Rete, la sua ultima esperienza. Conduceva Obiettivo Sport e trasmissioni sportive dove emergeva il suo grande amore soprattutto per l'Asti di cui era prima di tutto un tifoso. Molto competente di calcio, che aveva anche praticato nel Don Bosco, era immancabile la sua presenza allo stadio. Da quel mondo si era però completamente staccato nell'ultimo decennio perché non accettava di vedere il calcio astigiano decaduto dopo i fasti di Nosenzo e della C1: «Perché andare a vedere delle partite di squadre i cui paesi non hanno nemmeno la stazione? », ironizzava amaro. Era anche un appassionato cercatore di funghi. 
Gaggioli lascia la moglie Lauretta e i figli Valeria, architetto, e Marcello. 


Il cronista che trasformava il giornalismo in un gioco (di Cesare Martinetti)

Ito de Rolandis, giornalista e scrittore, è scomparso ad 86 anni. Figlio del farmacista di Castell’Alfero era discendente di Giovan Battista, l’inventore della coccarda tricolore

Chi portava le rose rosse sulla tomba di Martine Beauregard? Venticinque anni, di origini francesi, escort nei night della Torino bene, la ragazza venne trovata nuda, con tagli e bruciature di sigarette sul corpo, in un fosso tra Vinovo e Stupinigi. Era il 18 giugno 1969. Un giallo da subito romanzesco, thriller appassionante, decine di poliziotti dispiegati a interrogare i sospetti sotto la guida del commissario Montesano (poi celebrato da Fruttero e Lucentini nella «Donna della domenica»), squadre di cronisti a caccia del più piccolo dettaglio per tenere viva la cronaca di un caso che giorno dopo giorno si spegneva senza una soluzione. 

Fino al colpo di scena, un scoop della Gazzetta del Popolo, una foto e un titolo: qualcuno aveva deposto un mazzo di rose rosse sulla tomba di Martine. L'assassino? Il giallo si riapriva, il feuilleton si riaccendeva. I cronisti de La Stampa e di Stampa Sera erano scatenati per restituire il colpo incassato dalla concorrenza, fino a quando uno di loro - Umberto Zanatta - con una ostinata controinchiesta scoprì che quei fiori li avevano acquistati due cronisti della «Gazzetta», Ernesto Marenco e Ito De Rolandis. Come in un film di Billy Wilder, lo scoop era stato disvelato e il colpo restituito.
De Rolandis è morto domenica a Cagliari. Aveva 86 anni, era nato a Castell'Alfero, in provincia di Asti, figlio del farmacista e lui stesso laureato in farmacia, si era subito sottratto al destino di famiglia. Discendente di Giovanni Battista, l'eroe risorgimentale riconosciuto padre della Coccarda Tricolore da cui è poi nata la bandiera italiana. 
Appassionato di scrittura e di giornalismo, fin dagli anni Cinquanta aveva cominciato a collaborare in Rai, la tv era agli inizi, nella redazione di Torino c'erano Piero Angela, Emilio Fede, Gigi Marsico, Enzo Tortora. Nel 1961 De Rolandis ha lasciato la Rai ed è entrato alla Gazzetta del Popolo, giornale di tradizioni risorgimentali e allora ancora un quotidiano di rilievo nazionale, dove Ugo Zatterin aveva da poco lasciato la direzione ad Arturo Chiodi. 
Cronista di nera e di giudiziaria, De Rolandis, uomo di multiforme ingegno e inarrestabile creatività tecnologica costruiva reportage multimediali con i fratelli Judica Cordiglia e il loro «Centro di ascolto spaziale» collocato sulla collina di Torino. Dalla sua scrivania della Gazzetta in corso Valdocco, attraverso i due vecchi telefoni di bachelite nera, riusciva a connettere persone che non si sarebbero mai parlate, ne nascevano finte trasmissioni radio, in cui il giornalismo diventava un gioco restando sempre giornalismo. Numerosi e diversi i suoi libri, il più famoso «Attacco alla Sindone», pubblicato dalla Sei, insieme romanzo e indagine scientifica

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