Adolfo Consolini tamburellista

ADOLFO CONSOLINI TAMBURELLISTA

Adolfo Consolini, il Dolfo dei Gazzoli, rimane un mito imperituro dell’atletica leggera e dello sport italiano in generale. Le sue gare e la sua storia sono state mirabilmente raccontate da giornalisti sportivi di razza, primo fra tutti quell’arcimatto di Gianni Brera che non ebbe paura di ammettere di avere pianto, unica volta in vita sua, alla notizia della morte dell’amico discobolo. 

Adolfo, da persona semplice, umile, rispettoso e affabile con tutti, come i contadini della sua terra veronese, è diventato un mito come il discobolo greco scolpito da Mirone: per 11 volte campione italiano, per 8 volte autore di lanci da primato italiano, per 3 volte campione europeo e per 6 volte autore di lanci da primato europeo , fino ai 3 primati mondiali del 1941 con m. 53,34, del 1946 con m. 54,23, entrambi ottenuti a Milano nel campo sportivo “Mario Giuriati”, dove l’avvenimento è ricordato su una targa posta nell’androne d’ingresso al campo,  e l’ultimo nel 1948, pochi mesi dopo la vittoria alle Olimpiadi di Londra, con il lancio di m. 55,33 ottenuto sempre a Milano ma all’Arena Civica dal 2002 intitolata a Gianni Brera.

E poi le Olimpiadi: ben quattro, un record assoluto, le sue partecipazioni ai Giochi Olimpici, a cominciare da quelli di Londra del 1948 dove vinse battendo l’amico-rivale Giuseppe Tosi, poi fu secondo in quella di Helsinki del 1952 e sesto in quella di Melbourne del 1956. Ma Consolini partecipò anche alle Olimpiadi di casa nostra, quelle di Roma del 1960, e non solo come rappresentante di tutti gli atleti come lettore della formula del giuramento (per la verità qualcuno avrebbe voluto far intervenire un doppiatore, come era successo nel film “Cronache di poveri amanti” nel quale Lizzani nel 1954 gli aveva affidato la parte del maniscalco antifascista fiorentino, al posto della sua vocina da eterno ragazzo che cantava nel coro parrocchiale della chiesa di Albarè, rimasta tale a seguito di un’errata operazione alle tonsille), ma anche come atleta: si classificò diciassettesimo con un lancio di 52,44 metri, un risultato assai onorevole per un atleta di 43 anni. La sfortuna, non solo per lui, fu il fatto che l’Italia nel 1940 entrò nella seconda guerra mondiale, tutte le principali manifestazioni internazionali, Olimpiadi comprese, furono interrotte, altrimenti il bottino di Adolfo sarebbe stato sicuramente ben più sostanzioso.

Adolfo era l’ultimo dei cinque figli di papà Ottavio e di mamma Angelina Dalle Vedove, gli altri erano nell’ordine Adelina, Amalia, Attilio e Palmarino, l’unico il cui nome non iniziava con la A . Finite le scuole elementari il Dolfo era destinato a fare l’agricoltore, aiutando il padre e i fratelli nel coltivare i campi, quei campi pieni di grosse pietre che lui provvedeva spesso a lanciare ai margini del campo stesso, utilizzando la sua forza erculea messa addosso ad una persona mite e gentile con tutti, pronto all’aiuto, gran lavoratore.

Erano tempi difficili quelli della sua gioventù; in Italia i ragazzi venivano inquadrati presto nelle formazioni giovanili fasciste come balilla, poi avanguardisti, piccoli soldati già dall’asilo, per chi poteva andarci (nel comune di Costermano ve n’erano tre, vi era anche l’Istituto Canossiano per le orfanelle) , il Sabato fascista tutti agli esercizi ginnici per migliorare la “razza italiana” e preparare l’uomo nuovo alla guerra.

Già si sentivano avvicinarsi i venti di guerra: per la verità nel 1936 l’Italia era già in guerra, una guerra in terre lontane contro i poveri etiopi sulle cui teste gli aerei italiani lanciavano bombe micidiali e i terribili gas tossici, le armi chimiche che erano vietate dalle Convenzioni internazionali,  aerei contro i quali le truppe del negus non potevano far altro che sparare qualche colpo con i loro fucili antiquati.

Una guerra che aveva portato l’Italia all’isolamento internazionale e a dover affrontare le conseguenze delle cosiddette sanzioni: Mussolini rispose con l’economia autarchica, che mise in mostra l’arte di arrangiarsi degli italiani ma determinò anche l’impoverirsi delle classi più deboli, alle quali il regime chiedeva ogni tipo di sacrificio al limite della sopportazione umana.

In cambio di qualche Premio di nuzialità, ovvero 1.000 lire a qualche coppia di sposi più fortunata, come capitò ai coniugi costermanesi Giuseppe Pinamonte e Vittoria Chignola,  il regime fascista chiese a tutti gli sposi di offrire oro e argento alla Patria: sull’Arena di Verona vennero pubblicati lunghi elenchi, paese per paese, compreso Costermano, di quelli che risposero all’appello, addirittura alcuni sposi novelli, ad esempio Giuseppe Comencini e Teresa Arietti, subito dopo la cerimonia di nozze si recarono alla sede del Fascio locale per offrire le proprie fedi nuziali appena scambiate.

Sicuramente anche Adolfo e i suoi fratelli parteciparono, era d’obbligo, a tutte la manifestazioni organizzate dai gerarchi locali, Alvise e Pietro Sometti, che finivano immancabilmente con le acclamazione di fede al Re e al Duce; ma altrettanto sicuramente Adolfo preferiva divertirsi la domenica con gli amici al bar, amava suonare la fisarmonica con la quale allietava la compagnia durante le serate e le feste comandate.

E uno dei modi preferiti per divertirsi era andare a giocare a tamburello con gli amici nella piazza del paese. Lo sport della pallatamburello aveva anche allora a Costermano e dintorni così come in tutta la provincia veronese molti estimatori e appassionati: a livello locale e provinciale venivano organizzati molti tornei spettacolari, soprattutto in occasione di sagre e commemorazioni varie, come ad esempio a Bussolengo, a San Pietro Incariano e a Pescantina per la sagra delle pesche, oltre ai vari campionati nazionali e provinciali di i°, II° e III° categoria.

Nel maggio del 1936 al campo della Fiera di Verona, ben noto per le epiche battaglie sportive che vi avevano luogo, si svolse un torneo nazionale che fu vinto dalla formazione del Dopolavoro Genio Militare di Peschiera del Garda, composta da Giacomo Barlottini, Scattolini, Furri e Cordioli, arbitro il camerata Lugoboni. Nell’occasione si svolsero anche gare nazionali di tiro alla fune, sport nel quale si esibiva spesso anche Consolini contro quattro o cinque avversari, e vinceva sempre lui, così come vinceva sempre le sfide con relative scommesse a braccio di ferro.

In quei tempi si giocava ancora al pallone elastico, parente stretto del tamburello, il torneo di primavera fu vinto anch’esso dal Dopolavoro Genio Militare che sconfisse in finale il Ponton per 9 a 1.

Nella I° categoria, l’attuale serie A, il Verona affrontò squadre di Palermo, di Piacenza e di Genova: questi ultimi erano fortissimi, il giornale locale scriveva alla vigilia della gara che “i buongustai del tamburello hanno un piatto prelibato e non mancheranno di andare ad assaporarlo”; non mancarono certamente i tifosi nelle piazze e negli sferisteri, si contavano a migliaia.

Anche Adolfo e il fratello Palmerino giocavano a tamburello nella piazza di Albarè, di Costermano o di Castion. Adolfo, come ebbe a scrivere Gianni Brera, suo grande amico, “giocava a tamburello per un litro di Bardolino ogni domenica”, credo abbia fatto in tempo a giocare in qualche squadra giovanile del suo paese: sicuramente continuò a giuocare a tamburello il fratello Palmerino, il quale vinse anche un titolo, o forse un torneo nazionale. “A mi me piaseva zugar al tamburel – dichiarò agli scolari di Albarè che andarono ad intervistarlo nel 1979 – e se alora ghe fusse le squadre de adeso sicuro che sarìa nà meio”.

Nel febbraio del 1937 giunse a Costermano, per un’ispezione al Fascio Giovanile, l’ingegnere Giuseppe Zambonin, comandante della IV Legione dei Fasci Giovanili: ad attenderlo il comandante aspirante camicia nera Pietro Sometti e il suo aiutante Umberto Pinaroli assieme a tutti i giovani fascisti in divisa del comune, che allora contava 2280 residenti (era in corso proprio quell’anno l’8° censimento della popolazione). Dopo la solita acclamazione al Re e al Duce Zambonin diede ai responsabili locali “le direttive per il miglior potenziamento del Fascio Giovanile”: fra queste figurava l’invito a continuare le esercitazioni sportive e premilitari e ad inviare poi alla manifestazione provinciale di Verona i migliori atleti nelle varie discipline dell’atletica leggera. I gerarchi locali, Alvise e Pietro Sometti, radunarono in piazza tutti i giovani e gli scolari per scegliere gli atleti da mandare a Verona, e lì adocchiarono quel giovanottone tozzo e muscoloso, gli fecero provare a lanciare un peso, si trattava di una pietra di 7 chilogrammi che Adolfo lanciò come faceva con quelle dei suoi campi, un lancio che impressionò i due gerarchi i quali decisero di inviarlo alla manifestazione provinciale dei giochi studenteschi , che allora si chiamavano Littoriali o Gran Premio dei Giovani Fascisti, in rappresentanza di Costermano. Alle finali Consolini si classificò quarto, con un lancio del peso a m. 9,49, non male per un principiante senza arte né parte (per la cronaca vinse un certo Leandro Remondini, poi diventato calciatore). Lì ad adocchiarlo furono due dirigenti della Società “Bentegodi”, Guido Vivi e il maresciallo della Finanza Carlo Bovi, i quali lo indirizzarono al lancio del disco e lo lanciarono verso un futuro glorioso costellato di molti successi, molte vittorie , verso una carriera mitica che ancora oggi suscita l’ammirazione degli sportivi italiani, perché, come ebbe a dichiarare Sara Simeoni, “un mito non può mai morire”.

Contemporaneamente finì allora la sua carriera tamburellistica, anche se Adolfo rimase sempre affezionato allo sport del tamburello: non fu un caso se il 19 marzo 1961, quando tornò a Costermano per ricevere la medaglia d’oro dall’amico sindaco Luigi Benedetti (lui in cambio donò al suo paese natale il disco d’oro del suo record personale, ottenuto nel 1955 a Bellinzona con m. 56,98), trovò ad attenderlo e a festeggiarlo nientemeno che il mitico Mara, il mantovano Marino Marzocchi, e i suoi compagni di squadra, la Fiat Torino che l’anno prima aveva vinto il titolo nazionale di tamburello. E non è certamente un caso che la locale Polisportiva, che ingloba anche la storica squadra di tamburello, un settore di cui fu responsabile all’inizio Giuseppe Pinamonte detto Gek, sia intitolata proprio ad Adolfo Consolini e che all’ingresso del campo di tamburello, dove Adolfo ritornò nel 1969, pochi mesi prima della morte, per inaugurare i Giochi della Gioventù, sia stata posta la stupenda scultura di Pino Castagna, quei cerchi olimpici roteanti per il cielo come il disco da lui lanciato in aria.

Per i suoi allenamenti  al “Bentegodi” Adolfo si faceva in bicicletta (“Ma va in treno” gli diceva inutilmente il Sometti) tre giorni alla settimana il percorso Gazzoli-Verona, ritornava fischiettando e cantando verso mezzogiorno. Ma chi lavorava al mattino di quei giorni al suo posto? Mamma Angelina aveva parlato chiaro, come ricordò Palmarino agli alunni di Albarè che l’intervistarono nel 1979 :”No te ghe lasso mia nar a Verona, voi che te staghe chì, ghè anca bisogno de tì”. Per tacitare lei e papà Ottavio i dirigenti della “Bentegodi” decisero di mandare, a loro spese, un bracciante per sostituire il futuro campione olimpico nel lavoro dei campi. E fu così che le due forti braccia di Adolfo Consolini furono rubate, come suol dirsi, all’agricoltura ma rubate anche, ne sono più che sicuro, al tamburello, uno sport dove Adolfo poteva avere una carriera splendida, anche se non altrettanto ricca di soddisfazioni, di premi e di attenzione sulla stampa nazionale e internazionale come quella che ebbe meritatamente come campione di lancio del disco.

Enzo Cartapati

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