La ritrovata centralità del Tambass
Ho assistito alla diretta televisiva della partita (complimenti vivissimi per la telecronaca di Alessandra De Vincenzi e il commento di Alberto Bicocca: informati, garbati e competenti). Belle anche la cornice e l’organizzazione della Fipt e dello staff del Montemagno.
Ma da quanti anni dura il dominio dei gialli-neri? Qualcuno dice troppi, senza considerare che Grazzano invece e’ una sorta di squadra-paese modello e laboratorio, per il tambass. Un po’ come lo è sempre stato (e sta tornando ad essere: complimenti ai suoi giovani neo Tricolori) il Chiusano.
Grazzano con un giocatore, Vittorio Fracchia, campione e fuoriclasse che ha fatto la differenza (e la storia), anche stavolta in cui forse non e’ apparso il solito inarrestabile ciclone.
Grazzano, esempio di gruppo da seguire per arrivare a batterlo. Chi studia formule e alchimie burocratiche per limitarne lo strapotere non ha forse capito che bisogna guardare in alto per arrivare ancora più in alto.
Un torneo, quello a muro, che ha espresso (in questo caso matematicamente: e non e’ sempre un bene per l’interesse del campionato) valori già delineati nei pronostici primaverili, con i due giocatori simbolo (Fracchia, appunto e il chiusanese del Portacomaro Samuel Valle - quest’ ultimo più forte anche del lutto e del dolore per la perdita del padre proprio nelle fasi decisive del campionato: chapeau) a fare da traino per le rispettive squadre. Tutti all’altezza di una finale. È’ stato anche un torneo con due realtà popolari e popolaresche straordinarie come Azzano e Rocca dArazzo. E il bel Rilate dei giovani a cercare di sparigliare le carte.
Però , alla fine (elementare) sono sempre i campioni a fare la differenza: Sinner docet!
E il futuro? Intanto basta paragoni. Ognuno esprime il meglio della propria epoca. Personalmente vorrei sentire sempre meno parlare di “giocatori oggi più preparati rispetto al passato” (qualcuno che non abbia la memoria troppo corta o che non sia anagraficamente troppo giovane, mi saprebbe cortesemente indicare uno meglio allenato di un certo Renzo Tommasi o un altro come Franco Capusso che senza allenamenti specifici fu capace di correre i 100 metri piani sotto gli 11 secondi, in anni geologicamente lontani da quelli attuali?.., ma gli esempi sarebbero tanti…) e magari sentire disquisire di più e meglio di giocatori potenti, resistenti, atletici, veloci, acrobatici (e chi più ne ha più ne metta) ma capaci soprattutto di esprimere costantemente un gioco “aggressivo” (con gli attrezzi e i materiali attuali non sembrerebbe poi così impossibile) e meno “attendistico”.
Il “muro” in questo senso ha tracciato una via che andrebbe (non e’ presunzione) seguita anche nell’open. Perché qui, sotto i bastioni, anche i tanto vituperati terzini (si dice che sempre meno giovani vogliano specializzarsi in questo ruolo) dimostrano tutta la loro importanza.
A dispetto di chi vorrebbe ridurre (nell’open in particolare: dai cinque attuali fino a tre soli?) il numero dei giocatori in campo e, di conseguenza, le dimensioni del terreno di gioco.
Chiedo: ma poi sarebbe ancora “vero” tamburello?
Anche le formule, i punteggi, i set, i 13, i 16 o i 19 giochi che siano, lasciano un po’ il tempo che trovano.
Partite troppo lunghe? Dipende dallo spettacolo. Qualcuno forse si e’ annoiato a vedere Sinner-Alcaraz sfidarsi per ore a Parigi o Wimbledon, o, nel recente passato, i duelli tra Nadal, Federer, Djokovic?
Piuttosto (scusate le omissioni) dateci più Fracchia, Valle, Medesani, Natta, Marostica, o i Festi, i Petroselli, Dellavalle, Beltrami, Bonanate, Tommasi, i Perina e i Tore Biasi, i Malpetti e i Capusso. E ridateci l’umanità e il segno del talento infinito dei Cerot e dei Mara, le sfide senza tempo, la capacità di raccontare e raccontarsi.
Perché il tamburello (e il “cugino” balon) non e’ solo sport (con atleti veri, in qualche caso straordinari) ma qualcosa di speciale che un paese come Grazzano, in questi anni, ha saputo rendere unico, sin dal primo campionato monferrino, ormai quasi mezzo secolo fa. E allora, “sotto il cordino” (..a proposito di terzini…) in quella squadra c’era un certo Piero Monti, poi futuro sindaco e prototipo del giocatore-tifoso. Un paese-squadra. Le radici di un successo che dura nel tempo.