Le Langhe celebrano il re della pallapugno

Mostra su Augusto Manzo a Santo Stefano Belbo

Fuoriclasse Augusto Manzo, campione di pallone elastico, era nato a Santo Stefano Belbo nel 1911 e morì ad Alba nel 1982

Nelle Langhe «che non si perdono», un falò continua a brillare di stagione in stagione. Come si addice a un re, quale fu, quale nella memoria indelebile resta, Augusto Manzo. Al fuoriclasse del pallone elastico (o pallapugno) rende omaggio Santo Stefano Belbo (il villaggio d’origine, dove era nato nel 1911) con una mostra che si inaugura domani nella casa natale di Cesare Pavese (fino al primo ottobre), quindi trasferendosi, in gennaio, a Livorno. Ritrovando così il tempo andato, quando il gigante delle colline vinse in Toscana due titoli nazionali di pallone col bracciale. Fu, Augusto Manzo, il Nobel di Giovanni Arpino. Orgoglioso, il «bracconiere di caratteri» e di randagi eroi scomparso giusto trent’anni fa, perché un signore del vino volle come viatico nell’estremo viaggio, verso un Aldilà «di purezza sportiva e corrispondenza umana», un suo elzeviro sul «re che nacque barbaro, che si è incivilito da solo, senza abbisognare di alcun Virgilio. Un re, dal bicipite mostruoso, dal polso destro che merita un calco...».
 
La storia
Scomparve nel 1982, Augusto Manzo, nell’Alba di Beppe Fenoglio, dove Il partigiano Johnny e il suo inseparabile confrère fotografo, Aldo Agnelli, in ogni angolo coglievano al balzo l’occasione di far volare il «Balon». Dove lo sferisterio, il mitico Mermet, ha ispirato (il copyright è ancora di Arpino) un paragone con il «Maracanà» che imporpora le guance come un bicchiere di Barolo o di Barbaresco.
«Sono nato a Santo Stefano Belbo il 20 agosto del 1911. Fin da bambino mi appassionai allo sport del pallone elastico e a 12 anni vinco il torneo riservato ai ragazzi. Così ha inizio la mia carriera, continuata poi mietendo allori nei paesi vicini...» (ma anche spingendosi a conquistare Torino, la «fu» arena di via Napione, epicamente, romanzescamente innalzata da Edmondo de Amicis). Così si raccontava Augusto Manzo, fra una sfida e l’altra, cinquemila o quasi, collezionando otto titoli tricolore, disseminando di sé, della sua arte, del suo stile, questo e quell’agone, questo e quel campanile e sagrato e caffè e pergolato. Intrecciando naturalmente il gesto atletico con le pantagrueliche prove, onorando il tal brasato, la tale lepre, il tale agnolotto fatto, beninteso, a mano. 
 
Il «balon»
Di centottanta grammi (diverranno centonovanta) la palla, il pallone, il balon che Augusto Manzo ha in alto levato. Con la rapidità, l’eleganza, l’esattezza di un falco. Testimoniando di partita in partita il gioco, sì, epperò mai disgiungendolo dalla terra che sommamente lo alleva, una civiltà contadina al massimo grado, un albero genealogico dove il codice morale gemma non meno della bizzarria, dell’ardito colpo di dadi, dell’«uovo fuori dalla cavagna».

C’è una fotografia che ritrae Augusto Manzo con Nuto (il Nuto di Pavese, il suonatore di clarino) a Santo Stefano Belbo. Inseparabili da una bottiglia, nella bottiglia specchiandosi, indovinandovi un’occasione di festa intorno al «balon», immaginando, sugli spalti, fermentare l’attesa, la passione, l’invocazione alla luna. 

Tweet

Dona al sito Tambass.org
E dai, offrimi un calice di vino!
Siate generosi, per favore

Meteo

giweather joomla module

Facebook Slider Likebox

Login

Facebook Slider Likebox

Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per personalizzare i contenuti. Per informazioni o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie leggi la nostra Cookie Policy Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando su qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie. Per maggiori informazioni sui Cookies e su come disabilitarli, potete visitare la nostra pagina di privacy policy.

  Accetto i Cookie da parte di questo sito.