Pecci e Massimo Berruti. Una serata amarcord tra “cuore Toro” e balòn

Eraldo Pecci è stato un «poeta» del calcio, anche se il soprannome toccava ad un altro compagno (Claudio Sala) di quello squadrone Toro che vinse il mitico scudetto nel 1976; Massimo Berruti è un genio della pittura, casualmente prestato al balòn di cui è diventato uno dei «massimi» (nome omen) miti.

Due così dovevano prima o dopo incontrarsi, per raccontare un po’ delle loro vite straordinarie: è accaduto a Bubbio, venerdì, in una serata che gli appassionati (non solo granata, accorsi a decine con magliette Toro) difficilmente dimenticheranno. Un evento curato dalla Pro Loco in collaborazione col il «Toro club» Vallebormida e l’Associazione che cura la memoria storica della pallapugno, di cui Berruti è il referente. Ma l’anima della serata è stato Franco Leoncini, presidente del club torinista (che conta oltre 160 soci, quasi un terzo dei quali hanno meno di 15 anni). Raramente due mondi (anche se solo sportivamente) così lontani, come calcio e balòn, possono incontrarsi: ma stavolta la «qualità» e la grandezza dei personaggi hanno fatto sì che si riuscisse a dialogare tra football e pallone con una ricchezza di contenuti (e sentimenti) ahimè ormai raramente riscontrabile negli attuali panorami calcistici. Pecci ha giostrato sui ricordi, con quella verve romagnola che lo hanno reso unico nel panorama calcistico, ricordando i momenti più esaltanti della vittoriosa cavalcata granata ma anche l’incontro con altri fenomeni, Maradona su tutti. Berruti, sei volte scudettato, dominatore (con l’eterno rivale Felice Bertola) delle sfide negli sferisteri di un mondo allora contadino, ha «duettato» dialetticamente con Pecci, facendo emergere la profondità dell’atleta e dell’uomo. Ci sono stati momenti personali, di racconto, ma anche riflessioni sul presente e futuro dello sport. Due campioni, anzi campionissimi, che hanno dato ancora una volta una dimostrazione di disponibilità, di compostezza, di capacità di analisi, ma anche di umanità e di stile. Tutti valori nei quali dovrebbero specchiarsi tanti (pseudo) campioni di oggi, ma anche tecnici e dirigenti. Una bella lezione di sport e di tifo, che fa onore al vecchio, caro «cuore granata».

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