Ci ha lasciato Sandro Vigna

SANDRO VIGNA IL PATRON DEI SUCCESSI DEL CASTELL'ALFERO

i ricordi di Aldo "Cerot" Marello, Gianfranco Mogliotti e Riccardo Bonando

Pochi giorni dopo Mario Riva è mancato Sandro Vigna di Castell'Alfero classe 1933 il presidentissimo del tamburello. Un profondo conoscitore del valore degli uomini. Imprenditore di successo nell'allevamento di bestiame. Il suo credo "non ho studiato ma ho imparato". Personaggio indescrivibile il suo nome legato ai due scudetti della SVAB di Castell'Alfero (1970 e 1972) tornò vincente sempre col suo paese nel muro 2005-2006. Si affidò nei suoi trionfi all'estro di Aldo "Cerot" Marello.

Sandro Vigna è stato molto più di un amico è stato, dopo Umberto, il mio secondo padre accogliendomi come fossi davvero uno dei suoi 5 figli. Sono arrivato nella sua casa a settembre del 1968 dopo aver giocato una gara a Moncalvo contro il grande Ongaro e proprio li l'ho conosciuto e sono bastate poche parole perchè entrassi nella sua casa sia come giocatore ma anche, qualche volta, come suo accompagnatore duranti i suoi viaggi in Francia per acquistate i vitelli che sono stati gli artefici del suo lavoro. Con Lui e con tanti altri fuoriclasse ho vinto quattro Campionati Italiani nel tamburello due in campo libero ed altri due al Muro con il grande Miliu Medesani. Forse avremmo vinto ancora ma purtroopo un cattivo scherzo burocratico legato ai punteggi lo ha allontanato dallo sport che più amava. E per finire aggiungo che è stato anche il mio testimone di Nozze che aveva scelto lui per restare ancora più vicino a me. Ciao Sandro e ricordati che io sempre sempre vicino a te come sono sempre vicino ai tuoi familiari. Che Dio ti accolga nel suo Regno, nell'eternità. Cerot

Il “piparin” è il vitellino che prende il latte per crescere forte. Quando seguivo il tamburello per La Stampa, mi “nutrivo” di curiosità e aneddoti che Sandro mi raccontava come un nonno affettuoso. Così sorridendo mi chiamava “piparin”.
Grazie Sandro Gianfranco Mogliotti
 
C'è stato un rito antico, la domenica, più importante delle messe, delle brevi giaculatorie. E' stato un rito di gente, per la gente, ai bordi di un campo. Fra quella composta confusione di dialetti leggermente diversi, si sfidavano gli uomini del tamburello. Alcuni erano giganti capaci di fiondate ai limiti delle nuvole, altri minuti e nervosi dal colpo tremendo, che pareva quasi impossibile riuscissero a imprimere tutta quella forza, in quel poco di statura. E le sorti di quegli uomini, dipendevano da altri uomini, dai Patron. Spesso facoltosi, legati visceralmente al gioco e alla terra, furibondi nelle sconfitte.
Fra tutti, risaltava per la sua arguzia, Sandro Vigna, allevatore di bestiame.
Sandro voleva vincere, sempre.
Voleva i campioni, lì esaltava, i suoi e quelli degli altri.
Aveva voluto per Castell'Alfero, il suo paese, una squadra che potesse competere e vincere su ogni fronte. Vinse nel '67 il Torneo del Monferrato, lo lasciò nel '68 al Cerrina, per poi trionfare nuovamente nel '69. Ma non era ancora abbastanza per vincere tutto. Ai Campionati Italiani la spuntò il nemico Murisengo, che riusci a prevalere su tutti.
Sandro decise così di ingaggiare uno “straniero”, biondo, dalla classe sopraffina. Mario Riva.
Marello, Uva, Riva, Casalone, Pentore, come una preghiera.
Vinsero tutto. Prima il Torneo del Monferrato, poi per il titolo Italiano, la partita delle partite. Salvi – Castell'Alfero (14 – 19). Il punto più alto, un paese in festa.
Vinse nuovamente nel '72, ma non poté ripetersi l'anno successivo.
Bisognava ancora alzare il livello, essere più forti. Decise così di mandare il fidato Tirone in terra veronese, per convincere un semi dio a giocare per lui, Tore Biasi. Qualsiasi cifra, senza alcun limite. Il prezzo lo faceva il giocatore. Non si accordarono, Tore non si mosse.
Fu la fine, la squadra si sciolse, Sandro voleva vincere.
Diede il suo contributo a Castelferro quasi trent'anni dopo e poi ancora per la sua Castell'Alfero per la vittoria del Torneo a muro.
Elegante nei modi, cordiale nella battuta anche più beffarda, incantava nel suo essere spettatore, quando dopo un colpo da fuoriclasse, urlava F-E-N-O-M-E-N-O al diretto interessato. Lo centellinava quel complimento, lo teneva solo per la cose belle, per ciò che ha amato di più. Riccardo Bonando

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