Il bersagliere Bossotto, i Cerrato e gli altri assi del pallone a bracciale

Protagonisti dimenticati di un’epopea negli sferisteri 

Scritto da Leone Cungi (La Stampa)  Mercoledì 14 Settembre 2011

DA PORTACOMARO AD AGLIANO Una terra prodiga di straordinari talenti famosi in tutta Italia.

L’ULTIMO FU MANZO Il campionissimo del balòn tra i grandissimi anche in questa specialità

La storia di LEONE CUNGI *STORICO DEL BRACCIALE

Il campionissimo Augusto Manzo fu l'ultimo grande giocatore piemontese di pallone col bracciale toscano, con lui si chiuse definitivamente l'epoca d'oro degli atleti subalpini che tra la seconda metà dell'Ottocento e gli anni quaranta del secolo successivo furono tra i protagonisti del più popolare ed amato gioco degli italiani.

Particolarmente prodiga di campioni fu la terra astigiana dove, sull'esempio di alcune zone delle Marche, della Romagna e della Toscana, non poche famiglie spingevano i figli ad apprendere l'arte del pallone, perché, come ebbe a dire il De Amicis, «si facciano uno stato».

Capofila indiscusso della schiera elitaria di professionisti del bracciale fu Domenico Giovanni Bossotto, nato a Scurzolengo d'Asti nel 1840, per otto anni bersagliere e tra quelli che entrarono a Roma dalla breccia di Porta Pia. Signore incontrastato dell'arena torinese di piazza d'Armi, aveva tentato, nel 1872, l'avventura fuori dai confini piemontesi: era sceso in Toscana, la patria del bracciale ed era stato subito un trionfo. La sua popolarità, nel giro di qualche anno, passò dalle rive del Po all'Arno, da qui al Tevere, per diffondersi nell'Emilia Romagna e nelle Marche. Ovunque lasciò indelebili memorie di volate e di colpi straordinari che Mario Cianchi, nel suo carme popolare in ottava rima, Da Tetto e da Basso, così cantava: "Quand'ei di punta ribattea il pallone,/ qual rocca il corpo suo, fermo restava;/ e come palla uscita da un cannone/ il tondo cuoio, in guadagnata andava".

Ne conobbe la violenza d'urto il principe Corsini che, alle Cure di Firenze, colpito involontariamente da una pallonata del Bossotto, ebbe fratturato il braccio destro. Il principe, fervente bossottista, con molta signorilità invitò il piemontese al suo palazzo e gli offrì un magnifico dono: tanta magnanimità deve aver fatto pensare all'ex bersagliere che con un altro braccio o con una gamba la sua fortuna era fatta!

Il baffuto campione di Scurzolengo, fu, si direbbe oggi, anche un bravo talent scout e maestro di giovani promesse del bracciale. Nella primavera del 1894 Bossotto si presentò a Firenze con alcuni giocatori piemontesi, suoi allievi, tra i quali due suoi compaesani, Giovanni Gabri e Enrico Sconfienza, ed Annibale Sassone da Montemagno, i quali, dopo i successi fiorentini, lo seguirono, sul finire di luglio, a Milano, nello sferisterio costruito nell'area delle Esposizioni Riunite.

Le carriere agonistiche dei tre furono di assoluto valore. Gabri, battitore fortissimo dalla volata facile, stupì i romani, stabilendo, nel 1898, allo sferisterio Sallustiano il record di vittorie al totalizzatore, classificandosi primo per ben 51 partite consecutive. A ben ragione, alla fine del Novecento, fu da molti considerato il più forte battitore d'Italia.

Rico, Enrico Sconfienza, al contrario, non era un battitore dalle grandi volate, ma aveva il colpo sicuro e preciso.

Per il pallone preferì cambiare il camice bianco di farmacista con la candida divisa di giocatore di bracciale perché, affermava, era "più contento di segnare un quindici che di vendere cento purganti".

"Spalla d'ordine primissimo", il mancino Annibale Sassone. Agile e scattante, tempista perfetto, bravo tanto alla battuta quanto alla rimessa.

La grande pratica del pallone piccolo, nel quale eccelleva, gli aveva dato straordinaria precisione e sicurezza di colpo, di cui egli si serviva, talvolta, per effettuare magistrali giocate ad effetto che ben di rado si vedevano eseguire dalle spalle. Fu, anche, un abile impresario e gestore degli sferisteri di Milano, Roma e Torino: la sua compagnia, per il valore degli atleti che la formavano, fu tra le più famose e accreditate del Novecento.

Sempre da Scurzolengo, dove probabilmente si cresceva a pane e pallone, a partire dall'inizio del Novecento, giunse ai principali sferisteri un'intera famiglia di campioni, i fratelli Gay: Paolo, Domenico e Silvio, allenati dal padre Michele, detto Clotô, eccellente giocatore di pallone piccolo ed elastico.

Paolo, nato nel 1879, battitore formidabile e spalla precisa e potente, era superiore ai fratelli. In Toscana venne soprannominato "il leone" per la tenacia quasi rabbiosa con cui si gettava nella lotta, per l'entusiasmo e per lo straordinario spirito agonistico sostenuto da un' energia che sembrava non affievolirsi mai. Di poco inferiore era l'eclettico Domenico, classe 1887, capace di giocare ad alti livelli alla palla di gomma, al tamburello, al pallone piccolo e al pallone grosso. Nel 1909 fu ingaggiato per una lunga tournée a Roma e nell' Italia centrale alla cifra, sbalorditiva per l'epoca, di 1.500 lire mensili, corrispondenti a circa 7.000 euro. E non finiva qui! Perché al mensile si aggiungevano le percentuali provenienti dal totalizzatore. Tanto che l'onorevole Giovanni Giolitti ebbe a dire, con un tono di sarcasmo e di divertimento, che "Domenico Gay guadagnava più di lui". Silvio, il più giovane, si distinse soprattutto come terzino, senza mai elevarsi al livello dei fratelli maggiori.

Dopo i Gay, il testimone passò a Guido Gabri. Anche questo figlio di Scurzolengo divenne famoso come battitore e primatista di volate immortalate da lapidi ricordo. Celeberrima la battuta che, nell'ottobre del 1923 a Bologna, mandò il pallone oltre la galleria della rimessa, superando così il record di Augusto Frullani, stabilito nel 1886.

Ma quasi tutti i centri monferrini e langaroli furono ben rappresentati nelle compagnie professioniste. Di Portacomaro erano Egidio Canepa, forte battitore «dal colpo sicuro e ben centrato», Rinaldo Cerrato, colpitore preciso, astuto ed intelligente, e Camillo Rosso, Baralì, lunatico, amante della bella vita, che alternava giocate notevoli ad altre di normale livello. Di Agliano, Corrado Ercole Spessa, un jolly in grado di ricoprire con bravura tutti i ruoli della squadra; i fratelli Sardi: Filippo, giocatore di primo ordine, "prepotente in battuta e stroncatore in rimessa" e Pietro, immortalato in un bronzeo busto, posto nella galleria dello sferisterio di Bologna.

Qui si trovava anche un medaglione dedicato a Giovanni Trombetta, di Asti, «magnifico atleta del bracciale» epigono del fratello Pietro, nato invece a Calliano, che appena sedicenne, con Pietro Sardi, aveva debuttato nello sferisterio Monforte di Milano e due anni dopo, a Firenze, aveva firmato una volata eccezionale degna di lapide ricordo.

Tra i migliori figuravano Gioacchino Palazzolo, di Cerro Tanaro, che diresse a lungo lo sferisterio di Livorno; Alberto Laferrere di Cisterna d'Asti e Nicola Lorenzo di Fontanile, a conferma che oltre al buon vino, nell'Astigiano si producevano anche artisti del pallone.

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