Osservazioni a margine della finale tambass di Montemagno

TAMBASS. La finale di Montemagno (foto Sergio Miglietta)

In margine alla finale di Montemagno: permettete alcune osservazioni?

Io amo il tamburello a muro. L'ho amato prima della pallapugno, rispetto al quale era più popolare nelle mie plaghe ovadesi (ormai è da più di mezzo secolo che frequento sferisteri). Allora il vero tamburello era solo questo: quello giocato in campi dotati di un appoggio in sfide infuocate o da dilettanti locali o da professionisti (due nomi per tutti  il gran maestro Mara-Marino Marzocchi e il giovane fuoriclasse Cerot-Aldo Marello).  Quando anche il gioco lungo o libero attirava migliaia di persone, ma con altri campi e con altre regole. Poi tutto svanito in una nebulosa di regole modificate e di gioco snaturato. Neanche più il muro, ridotto ai minimi termini, dava conforto ma delusioni (nel 1969  viene abolito definitivamente dal campionato).  Inevitabile innamorarmi del pallone elastico che ancora manteneva magie ed emozioni d'antan. Ma pure il pallone purtroppo sta conoscendo lo stesso destino del tamburello, con una crisi che definire profonda è solo eufemismo. Volete che ve lo dica? Secondo me questi due sport, fratelli per storia e affinità popolari culturali, continuando con l'attuale sistema dirigenziale, la 'governance' sia federale che societaria (permettete una licenza in lingua straniera), sono destinati a un drastico ridimensionamento, se non all'estinzione. Già il CONI sta operando una rivoluzione, con accorpamenti e commissariamenti, modifiche di statuti, in questo senso sugli sport definiti 'minori', tra i quali ha inserito i nostri.

Sono cambiati i protagonisti: la gente delle colline, i ritmi di vita, le attrazioni per i giovani, il mondo contadino con i suoi luoghi deputati invasi da modernità deturpanti, stranianti. I bastioni nella pallapugno ufficiale sono quasi scomparsi, sostituiti da muri di appoggio con file di anonimi, indifferenti, omologati quadrati in rete metallica. Nel tamburello antiche mura sopravvivono in buon numero, quasi un miracolo per la rinnovata passione verso questa disciplina, seppur in alcuni casi siano luoghi trasformati in piazze per altri usi. Ma anche nella pallapugno da qualche anno è rinata la passione verso l'antica 'pantalera', agganciata a mura di piazze paesane da tempo tristemente abbandonate e vuote ma ora rivitalizzate, con campionati ufficiali (e qua e là è ritornata adattata anche agli appoggi degli sferisteri).

Questa lunga premessa per puntualizzare alcune mie riflessioni suscitate dalla finale di Montemagno, tenendo presente di miei giudizi condizionati dall'essere questa l'unica partita cui ho presenziato nella corrente stagione (e non ho ancora visto una partita di pallapugno!).

Superato lo choc (o, più moderno, shock) di vedere un campo in asfalto, un vero e proprio pugno allo stomaco; rassegnato a una vera e propria sauna, causata anche dal riverbero muro-asfalto di un sole spietato in un agosto da temperature record e con ripari d'ombra molto ma molto fatiscenti e insufficienti; perplesso di fronte a un muro in nudi  mattoni basso e visibilmente in alcuni punti non liscio ma con alcune irregolarità, inoltre di fronte a una capienza per gli spettatori molto limitata; perplesso ma non stupito, vista la situazione, di fronte a un pubblico caloroso, in alcuni casi troppo, ma non numeroso come avrebbe dovuto essere, secondo me, con due assi, due fenomenali campioni in campo come Monzeglio e Fracchia nel loro fulgore.

In conclusione, contrariato da un campo che ho ritenuto non adeguato per una finale nazionale scudetto per di più secca, già contrariato per una formula che ritengo errata e controproducente, quindi in abbondanza prevenuto negativamente prima della gara, ho trovato conforto almeno nello spettacolo di un paese grazioso e caratteristico, con gente locale gentile e cordiale, soprattutto nei vari servizi elargiti con grandi passione e serietà, cioè mi sono sentito a casa.

Le squadre hanno evidenziato una differenza abissale fin dall'inizio: sicura e a suo agio in tutti i reparti quella di Grazzano, costantemente all'attacco, mentre quella di Moncalvo, Monzeglio compreso, votata alla difesa, al puro contrattacco o al contenimento, sperando nei cedimenti altrui, con ben evidente il disagio su quell'asfalto e con quel muro. I cinque di Grazzano sempre superlativi, con un Fracchia mostruoso e un Marletto implacabile, con il mezzovolo e i terzini che praticamente hanno conquistato  tutti i quindici passati sui loro tamburelli. Dei moncalvesi si può salvare il solo Monzeglio, che ha impedito con la sua classe una debacle ben più eclatante, che anzi con le sue caparbietà ed esperienza ha in alcuni frangenti incusso timori e attuato rimonte impressionanti, una quasi mortale (quella fino al possibile 12-11, sciaguratamente sciupata, instillando però per alcuni infiniti momenti la ferale paura di vincere negli avversari). 

Ma se per quelli di Grazzano la vittoria non è mai stata in discussione, al limite solo una faccenda di testa nelle altalene di alcune rimonte, per i soggiogati, intimiditi moncalvesi era una questione di inferiorità per il campo di gioco. Che ha impedito una partita più equilibrata tecnicamente. Sono convinto altresì che un Grazzano di tal livello avrebbe vinto su qualsiasi campo. Solo un' inversione di squadra per i terzini avrebbe potuto  rendere più incerta la conclusione.

La questione di fondo è semplice: una finale di tale importanza non ha senso, anzi grida dolore, disputarla in una partita unica, soprattutto in uno sport sferistico con ben altre tradizione e vocazione, così come per il pallone. Ma è così logico che deve essere giostrata in due partite nei campi delle finaliste. L'eventuale bella deve avere una cornice degna, su un campo adeguato, rispettoso sia per i giocatori che per il pubblico. Una proposta: se per esempio il nobile e superbo Porro di Vignale, che ha  tutte le caratteristiche valide del caso, non incontrasse il favore dei protagonisti in gioco, esiste uno sferisterio talmente neutro ma anche talmente giusto per il tamburello a muro che non dovrebbe incontrare opposizione, lo storico Marenco di Ovada (1921), con il suo muro più bello in assoluto (e da poco ristrutturato al meglio in tutte le sue parti).

Il quaranta pari risolto senza vantaggi è un insulto alla tradizione e alla ragione d'essere sia del tamburello che della pallapugno. Infatti mentre nel pallone dopo un infelice esperimento durato solo un anno si è tornati ai vantaggi, sia pure limitati nel numero, qui perdura in un suicidio tecnico incomprensibile.

Concludo con la tifoseria: è stato piacevole e confortante vedere e soprattutto sentire tanto tifo caloroso e coreografico, ma sarebbe meglio lasciare ad altri sport certi eccessi, come le fastidiose e pericolose  bombette e le insulse candele fumogene. Non ho trovato dignitoso disturbare costantemente, ma con voluta tattica, il battitore Tirico, né certi smodati vocalizzi con balletti ridicoli, tanto da provocare più volte le reprimende sdegnate di capitan Fracchia. Non sono comportamenti che si addicano a un glorioso e antico sport come il tamburello delle nostre colline.

Vorrei infine rivolgere, ripetendolo, un consiglio o, meglio, un appello: non conviene  imitare la Federazione Pallapugno con i suoi molto, da anni, discutibili provvedimenti tecnici (o scimmiottare altri sport). Sia il montepunti che il 40 pari secco alla prova dei fatti si sono rivelati dannosi e inadeguati. Ne abbiamo subito le conseguenze negative nel pallone, corrette nel 40 pari secco, ma perduranti con il montepunti, che continua a lasciare cadaveri sul terreno.

Ci sono persone competenti, a iosa nel tamburello, sia nei giocatori attuali sia negli ex giocatori sia nei 'suiveur', soprattutto quelli con i capelli canuti, consultateli, avrete sicuramente soluzioni migliori.

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