Italo Gola, il “moschettiere” di Berruti. “Monastero e Bubbio, che alleanza”

Dopo 36 anni dallo scudetto lo sferisterio astigiano di Monastero Bormida torna a ospitare la serie A

Italo «Talo» Gola, compirà 71 anni a settembre. Ma sembra avere fatto un patto col Diavolo: il baffo è sempre lo stesso, da pistolero messicano, il vocione assordante, la battuta che fulmina. 
È stato tamburellista, calciatore, buttafuori nelle balere della Val Bormida, dipendente Sip e poi Telecom, da giovane fu uno dei primi carabinieri ausiliari («al battaglione di Torino, prima ancora che avesse l’attuale sede al castello di Moncalieri») ed è donatore di sangue pluripremiato. Ma, soprattutto, Gola è stato uno dei «moschettieri» che facevano squadra con un certo Massimo Berruti, il pittore di Rocchetta Palafea (ora canellese doc) che ha segnato un’epoca e forse anche di più, negli sferisteri del balòn, con il suo alter ego Felice Bertola. Con loro, a Monastero Bormida, nel 1981 anno dell’ultimo dei quatttro scudetti «berrutiani» di Monastero (ne avrebbe conquistati personalmente sei in carriera) c’erano Romano Sirotto, rugbysta prestato al balòn e da anni Segretario generale della Federazione e Tonino Olivieri, il «ballerino» di Acqui che cominciò come Gola col tamburello e divenne poi una insostituibile «spalla» con il «Maestro» Berruti. 
Olivieri non c’è più da tempo ma vive nel ricordo che incrina la voce di «Talo»: «Tonino era un amico, un ragazzo buono, un compagno di ribote e di vita: se n’è andato troppo presto». Quando Gola racconta è un fiume in piena, lui che quest’anno è dirigente nel Bubbio di Corino che giocherà in A a Monastero. 
«Ci sono solo due capitani attuali che potrebbero ambire ad essere protagonisti nei nostri anni: uno è il campione d’Italia Massimo Vacchetto, sembra una fotocopia di Berruti e l’altro è Corino, che ha solo il difetto di non essere più giovanissimo, ma secondo me sarà ancora nei magnifici quattro per lo scudetto».
Due miti a confronto
Berruti e Bertola visti da lui fanno parte del mito: «Massimo inimitabile tecnicamente, Felice un atleta magnifico, capace di ogni tipo di giocata. A vederli di fronte rischiavi di distrarti, tanto erano bravi». 
Gola aveva cominciato a giocare a tamburello, nei cortili di Canelli, poi si diede al calcio («centravanti di sfondamento: a Vinchio che non vinceva da anni si ricordano ancora quando feci sei gol in una partita»), poi una lunga squalifica per una «discussione» con un arbitro, la decisione di darsi al balòn « su suggerimento di Massimo che era mio vicino di casa a Canelli», le sfide, l’epoea di un balòn forse irripetibile con «quei due» rivali. E lui che alternava il lavoro, agli allenamenti, le partite, l’impegno di notte come «buttafuori» al dancing di Bubbio. E trasferte in Liguria, come quella volta in cui a Piani d’Imperia misero in palio per la squadra vincitrice 150 chili di pasta «Agnesi» e naturalmente vinsero loro, con Berruti. E poi caricarono il «trofeo» sulla «Giulia» di Gianguido Solferino, «spalla» di Berruti, grande tifoso juventino, che aveva il vezzo di pettinarsi (i tifosi lo soprannominarono «Marisa» come Boniperti). E quando arrivarono a Piana Crixia, di notte, uno pneumatico della «Giulia» si afflosciò. «Per cambiare la ruota dovemmo scaricare la pasta e poi ricaricarla e sembravamo la Banda Bassotti: per fortuna non arrivarono i carabinieri».
Bei tempi: memorabili, irripetibili. Dice Gola che «se si potesse, Massimo e Felice dovrebbero stare per sempre nel Pantheon dei grandi di ogni sport. E noi con loro a raccontarne le gesta. Ma quest’anno, a Monastero, col Bubbio, ci sarà da divertirsi. Vedrete». Parola di «Talo»

Italo Gola arbitro d'eccezione a Castelnuovo Don Bosco (Asti)

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