“Il gioco va rinnovato. Investiremo sui giovani e punteremo sul dialogo”. Il bresciano Facchetti candidato alla guida della Fipt

Giocatore e tecnico tra i più vincenti

«Sarà una piccola rivoluzione. Spero in senso democratico, innanzitutto per il modo di gestire i rapporti con tutti, tesserati, dirigenti, tecnici, giornalisti, ma anche e soprattutto con la gente che segue il tamburello. E poi proveremo a cambiare il gioco, se possibile per modernizzarlo».
Si presenta così Edoardo Facchetti, 57 anni, bresciano, di Cortefranca, dirigente di un’agenzia di assicurazioni a Treviglio (Bergamo) il paese d’origine di un suo illustre cugino, Giacinto Facchetti, indimenticato fuoriclasse del calcio (Inter e Nazionale). E, a suo modo, anche «questo» Facchetti è un asso, ma nel tamburello: allenatore tra i più vincenti (Medole e Cavaion, con cui ha fatto incetta di trofei) e una passione smisurata per il suo sport, anche da giocatore («battitore bravino, ma potevo fare di più» ammette con ironia).
Sposato con Rosaria (due figlie, Jessica, 26 anni, tour operator e Greta, 21 anni, terzo anno di Giurisprudenza, con la passione per il volley), l’imprenditore bresciano è, salvo clamorosi colpi di scena, destinato a diventare il successore di Crosato alla guida della Federtamburello.

Facchetti, partiamo proprio da Crosato. Lui teme vada disperso il patrimonio del tamburello e lamenta il fatto di non poter aver avuto un incontro con lei.
«Guardi, vorrei guardare avanti e evitare polemiche sterili. Posso assicurare però che non siamo dei parvenu: nel gruppo che stiamo formando ci sono fior di eccellenze, tamburellisticamente parlando. E siamo aperti al dialogo, con tutti. Crosato compreso. È vero però che stiamo cercando di cambiare il modo di intendere il rapporto tra Federazione e associati: non più in senso verticale, ma confrontandoci con chi vive nei territori del tamburello. È una piccola rivoluzione anche questa, non crede?»

Chi ci sarà nel suo gruppo?
«Mi scuserà se non faccio i nomi di tutti, perché siamo in una fase ancora delicata (per tanti aspetti) di definizione delle candidature. Posso dire che fanno squadra con me personaggi che gli astigiani e i monferrini del tamburello credo conoscano bene come Alessandra De Vincenzi e Riccardo Bonando, a cui aggiungerei il nome di Andrea Fiorini, trentino, attuale vicepresidente della Federazione. Penso che basti per far capire che non siamo dilettanti allo sbaraglio, come forse vorrebbe fare intendere qualcuno».

Finora però non si è parlato di programmi...
«Nei prossimi giorni invieremo ad ogni società una bozza di quello che sarà il nostro progetto. Ci sarà tempo e modo per parlarne».

Ma a lei piace questo tamburello?
«Per niente: in serie A, che dovrebbe essere la massima espressione del gioco, l’età media batte sui 45 anni. Non mi sembra un bel biglietto da visita».

Eppure è stato fatto tanto a livello indoor?
«Ma noi non vogliamo buttare via quello che abbiamo di buono, anzi. Si tratta solo di creare le condizioni per fidelizzare i giovani che fanno l’indoor e indurli a restare nel tamburello, quello vero».

Partite che durano 5 ore, palleggi infiniti...
«E’ vero, lo spettacolo spesso è carente. Bisogna ripensare ad un gioco diverso. È finita l’epopea dei paesi dove l’unico svago era il tamburello, come accadeva 50 anni fa. I terzini, per esempio: nessuno più vuole svolgere questo ruolo. Penso che in questo quadriennio bisognerà sperimentare e introdurre formule nuove, anche tre contro tre».

Il «muro»?
«Fa parte di una tradizione formidabile e di un tessuto anche turistico-promozionale che va valorizzato, anche come risorsa».

Lei è stato un buon giocatore. Chi è il suo modello?
«Sono cresciuto nel mito di Renzo Tommasi, il “dio del tamburello”. Campionissimi come lui, i Dellavalle, Petroselli, Beltrami, lo stesso Alessio Monzeglio, sono esempi da additare ai giovani. Se riusciremo ad averne tanti, così, il futuro sarà nostro».

Se diventa presidente della Fipt, allenerà ancora?
«Mi piacerebbe, ma non potrei anche per un motivo etico. Ma non voglio restare presidente a vita, sempre che mi eleggano. E quindi potrei poi tornare in panchina. Non c’è niente di più bello che vedere il tamburello dal campo».

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