Quell’idea di disputare la “bella” per lo scudetto nel paese di Fenoglio

Dibattito sul balon: “Sarebbe stato affascinante giocare la finale a S. Benedetto Belbo nel centenario della nascita dello scrittore”

intervento di Giorgio Vacchetto (eccellente giocatore di balon in gioventù e padre di un fuoriclasse, Massimo, di un campione, Paolo e di un promettente «terzo incomodo», Alessandro) sul futuro della pallapugno anche in chiave turistico-promozionale e di inserimento in un contesto formativo nazionale e internazionale, è non solo condivisibile, ma offre l’opportunità di un’analisi di tutto un movimento. Peccato che in questa sua accurata e illuminata disamina a tutto campo (è il caso di dirlo), Giorgio Vacchetto non sia tornato a parlare (come invece ha opportunamente fatto in un suo post sui social) della necessità di unire le forze anche con i «cugini» del tamburello. Ma, in tale contesto, va subito ricordato (dando a Cesare quel che è di Cesare) come sia da tempo in atto una stretta sinergia tra i due presidenti delle rispettive Federazioni, il cuneese Enrico Costa (pallapugno) e il bresciano Edoardo Facchetti (pallatamburello), i quali hanno evidentemente subito compreso l’importanza di unire (anche «politicamente» per contare di più, insieme) le forze e di conseguenza i territori di rispettiva influenza. Ai vertici si gioca soprattutto al balon in Piemonte e Liguria e al tamburello dal Piemonte si arriva al Trentino, passando per Veneto e Lombardia, con un’intensa attività indoor che tocca tutta la Penisola. Impegno giovanile meritorio e importante - lo ribadiamo - sostenuto e incentivato dalle due Federazioni, ma che da solo non basta. Sono ancora troppo pochi i giovani atleti che arrivano in cima alla montagna: molti abbandonano finita la parentesi indoor (che spesso coincide con il periodo scolastico) e altri preferiscono magari semplicemente seguire le sirene di sport «più alla moda» (calcio, ma non solo). Che fare, dunque? Intanto come dice saggiamente Vacchetto senior, non bisogna rinunciare alle radici che vanno coltivate e spiegate. Una volta non c’erano i social, ma anche in Monferrato, insieme al tambass, migliaia di appassionati seguivano le vicende pallonistiche e le epiche sfide dei Manzo e Balestra e poi dei Berruti e Bertola, erano gli stessi supporter ed estimatori dello sport tout court: il Giro d’Italia o di Francia, Coppi e Bartali, Merckx e Gimondi, i trionfi motociclistici di Giacomo Agostini, le memorabili sfide sul ring di Nino Benvenuti o di Muhammad Alì, le corse nel vento di Pietro Mennea o i salti da record di Sara Simeoni fino alla meravigliosa favola della Valanga Azzurra di sci. E senza dimenticare le prime dirette televisive dei match tennistici di Borg e Panatta o Connors e Mc Enroe. Questi tifosi-praticanti degli sferisteri, spesso di estrazione contadina, sapevano tutto senza «avere niente». Altri tempi da «poveri, ma belli». E con un altro non irrilevante dettaglio di grande interesse in chiave giovanile: i molti ragazzi tamburellisti che scendevano in piazza, non rinunciavano a provare anche a fasciarsi il pugno per il balon o impugnavano la racchetta da tennis o quella del tennistavolo. Lo stesso crediamo sia avvenuto anche in Langa o nel Roero. Questione di cultura e di attitudine a mettersi in gioco. Se ci fosse stato il padel oggi in voga, c’è da scommettere che quegli stessi ragazzi d’antan non avrebbero esitato a cimentarsi anche in questa disciplina. Eppure, all’epoca, non c’erano istruttori qualificati a fare da maestri, ma molti di quei bambini o adolescenti (pur non diventando campioni) da adulti hanno maturato una conoscenza invidiabile che li ha fatti diventare «cittadini del mondo sportivo», ma restando sempre in scia - come fossero una stella polare - ai vecchi e mai dimenticati giochi dell’infanzia. Una sorta di circolo virtuoso: gioca, conosci (le regole, i campioni, la storia), impara, segui. La domanda girata al presente è: perché continuare a ragionare per compartimenti stagni e invece non allargare magari anche la prospettiva della formazione dei giovani e giovanissimi attraverso una multidisciplinarietà che diventerebbe la «porta» attraverso cui indirizzare ad una conoscenza diffusa di tanti modi di fare agonismo, anche superando le difficoltà tecniche che comporta il passaggio da uno sport all’altro? In effetti sembra complicato, ma non sottovalutiamo le abilità (adesso va di moda chiamarle skill) dei ragazzi. E poi, se vogliamo, c’è il discorso sulla formazione di una classe dirigente (società per società) adeguata, che non faccia solo del risultato l’unico mantra dell’attività anche giovanile, ma che sappia guardare lontano, oltre i ristretti orizzonti della propria «bottega». Così come sarebbe stato quantomeno affascinante (per fare un ultimo esempio legato al territorio, al turismo, alla storia del balon e di chi lo ha «cantato» in modo sublime) anche immaginare di poter disputare la «bella» per lo scudetto 2025 tra i fratelli Vacchetto (poi giocata a Canale con la vittoria di Massimo sul fratello Paolo) sul campo neutro di San Benedetto Belbo, nel centenario della nascita di Beppe Fenoglio, il paese di adozione di uno dei più grandi scrittori del Novecento. «Sarebbe stato fantastico, un evento memorabile: se vogliamo un’occasione persa» si è rammaricato più di uno di quegli appassionati al di sopra del tifo, ma che amano il balon e la sua cultura oltre ogni immaginazione. Lo prendiamo come un ulteriore spunto di riflessione. Non andiamo oltre. Il cammino è lungo e impervio. Ma nelle piazze e negli sferisteri - come insegna Giorgio Vacchetto - c'è un tesoro che non va disperso. Nulla è impossibile. Provare e tentare di cambiare si può. Perché «solo chi osa vince».

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