Pierron si racconta: «Odio perdere, quando succede ... rompo i tamburelli»

Leggenda Pierron: «Sono una testa calda che odia perdere»

Arriva al nostro appuntamento a bordo di una Citroën. Rigorosamente targata francese. Scende, sorride e stringe la mia mano. Meglio, la stritola. Sa di non essere amato, Yohan Pierron, il francese capitano del Cavaion, la squadra di tamburello campione d’Italia in carica. Molto diretto, quello che pensa non lo tiene certo per sé. Si autodefinisce una testa calda, e ne va fiero. «Odio perdere», esordisce, «anni fa sono stato sconfitto in una finale e ho pianto due giorni». Parla al singolare, Yohan, seppur il suo sia uno sport di squadra. L’atleta francese, classe 1986, inizia a giocare a tamburello molto presto. «La casa dove sono cresciuto aveva di fronte un sferisterio. A tre anni tiravo già le palline contro un muro. La mattina mi alzavo molto presto e, prima di andare a scuola, correvo a fare qualche rimbalzo nel campo, da solo. Nel pomeriggio, appena rientravo, lasciavo la cartella sulle scale e via, di nuovo a giocare al campo. Sono rimasto piccolo e basso per molti anni e questa caratteristica mi ha permesso di giocare sia nella mia categoria sia nelle altre». Mai fermo, molto agitato, Yohan è però un alunno modello. Termina la maturità scientifica con voti molto buoni e si iscrive all’Isef ma, dopo pochi mesi, abbandona gli studi per venire a giocare in Italia. «È stato lì che ho capito che sarebbe diventata la mia professione. Era il 2005, avevo diciannove anni. Ero a giocare a calcio con degli amici e, finita la partita, avevamo in programma di guardare tutti assieme un’amichevole tra Francia e Italia. Ricevetti una telefonata in cui mi veniva offerto un posto nella squadra del Chiusano, in Piemonte. Significava andarmene di casa, lasciare i miei affetti. Ma non potevo rinunciare». Yohan è molto unito a mamma Marielle, impiegata in ospedale e a papà Renè, dipendente comunale. «Non sapevo come dirlo ai miei genitori, siamo una famiglia affiatata», sorride, «il colpo è stato forte per tutti ma non mi hanno impedito di lasciare la Francia anzi, all’inizio i miei genitori mi hanno aiutato a trovare una sistemazione qui in Italia. Sono partito rassicurandoli che sarebbe stata soltanto una prova, di un anno. Non sono ancora rientrato e mamma è ancora là che mi aspetta». Yohan arriva a Verona nel 2013. «Ho giocato per i primi due anni nel Monte, diventato poi nel 2015 Cavaion Monte perché le due società si sono fuse. E sono lì tuttora». L’anno del suo arrivo, la squadra veronese vince tutto: scudetto, coppa Italia, coppa Europa e super Coppa. «Mi descrivono come un matto. In effetti ogni tanto faccio volare qualche tamburello dal nervoso… Ne rompo circa 150 all’anno e meno male che ho uno sponsor che me li fornisce. Ho un carattere molto forte, sono molto diretto e se devo dire a un compagno che gioca male glielo dico. Sono sincero, non affermo mai una cosa per un’altra. E credo sia la mia forza perché senza carattere non si vince. Essere diretti, spesso, è controproducente perché tanti si offendono. Io pretendo che le persone lo siano con me perché mi aiuta a crescere e a riflettere». Nel tempo libero di Pierron non ci sono né libri, né televisione. «Leggo solo la Gazzetta dello Sport e quando posso, dormo. Non ho molti momenti per me tra lavoro, allenamenti e famiglia ma quando sono tranquillo, mi piace riposare, cosa che nell’ultimo periodo mi concedo di rado». Amante della cucina, soprattutto delle ostriche e del vino rosso «quello francese, però, perché il vino buono ce l’abbiamo solo noi”, è tifoso del Marsiglia e della Juve. E oltre a Cristiano Ronaldo “una vera e propria macchina da guerra, sia nella vita sia nello sport», ammira Zidane. «Avrei dato pure io una testata a Materazzi. Anch’io sono uno che perde la testa…» E dell’esclusione dell’Italia ai mondiali di calcio, sorride: «Almeno la prossima estate staremo tranquilli e non si parlerà tutti i giorni sempre e solo di calcio. Esistono tante altre discipline che vengono oscurate, chissà che col vuoto lasciato dagli azzurri non ci si accorga anche degli altri sport».

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