Saverio Bottero: «Il tamburello ha bisogno di una scuola»

Il forte giocatore ovadese torna nel Cremolino in cui fu protagonista quattordici anni fa. «Vogliamo un anno da protagonisti» [foto di Pier Giuseppe Bollo]

CREMOLINO - Ritrova Daniele Ferraro col quale ha vinto nel 2005 lo scudetto di Serie B e giocato nella massima categoria l’anno successivo. Saverio Bottero, la miglior espressione del tamburello locale, è pronto a rimettersi la maglia biancazzurra del Cremolino. «So che la società - racconta - vuole recitare un ruolo di primo piano. Io mi sto lasciando alle spalle i postumi del coronavirus e lavorerò col preparatore per essere pronto nel momento in cui potremo riprendere a giocare»

Tornare a Cremolino in questo momento storico ha un’importanza particolare?

Ha un valore altissimo. Ovada è stata per anni un punto di riferimento per la disciplina. Cremolino è rimasta l’unica realtà di un certo livello grazie all’impegno di società, Pro Loco e Comune. Io mi metto a disposizione della dirigenza e dei tanti appassionati.

Quali sono le figure che hanno alimentato la tua figura per il gioco?

Tante. Mio zio Gian Marco Barisione. Ho giocato con lui nella Ceramica Ovadese da giovane. Poi il presidente Pasquale Messina: gli devo tantissimo per avermi fatto giocare titolare a fondo campo, il mio ruolo. Per Cremolino posso ricordare Aldo Casamonti, una persona squisita che ci metteva sempre una parola giusta ed era un trascinatore. E naturalmente Claudio Bavazzano che si è speso tanto.

Perché secondo te la cultura tamburellistica si è un po’ persa nell’Ovadese?

Per un 50% si tratta di un’evoluzione, a mio giudizio negativa, che ha portato i giovani a vivere più in una dimensione virtuale e meno in quella reale. Il tamburello è reale, è uno sport di tradizione. Ma le generazioni precedenti in alcuni casi hanno pensato che fosse difficile da insegnare.

In che senso?

Per tanti il tamburello doveva essere una caratteristica del tuo dna. Allora potevi svilupparne le abilità. A me è capitato. Io ho avuto la fortuna di avere due nonni che giocavano al alto livello. C’è poi una colpa di quelli della mia generazione.

Cioè?

Abbiamo pensato a giocare. Non abbiamo portato avanti un discorso tecnico necessario per alimentare il movimento come in altre realtà.

Come proveresti a coinvolgere un ragazzo giovane per farlo provare?

Vorrei riprovare a fare l’allenatore come nel periodo in cui ho collaborato con la Paolo Campora: ho avuto belle soddisfazioni. Ma la prima cosa che farei sarebbe invitarlo a vedere una partita. Vedendo il gioco dal vivo, il ragazzo potrebbe capire se si tratta di qualcosa nelle sue corde. Al tempo stesso, come succede per gli sport più popolari, potrebbe appassionarsi ai colpi tecnici dei giocatori più importanti. L’ultimo passo sarebbe quello di provare: imbracciare il tamburello, esercitarsi a colpire la pallina dando forza, direzione precisione. Sicuramente questo gioco ha una controindicazione: richiede un grande impegno e costanza. Più giochi e più riesci a mantenere il tuo livello o a migliorarlo.

Come hai vissuto questi mesi senza il tuo sport?

È stato un periodo difficile. Ho avuto il Covid, ho trascorso i miei giorni in quarantena. La malattia mi ha lasciato debilitato. Ho dovuto drasticamente interrompere. Lo scorso anno dal punto di vista psicologico l’interruzione è stata pesante.

Per quale motivo?

Mi ero preparato bene per la stagione con l’obiettivo di riportare la Cavrianese in Serie A. Non poter giocare, non poter incontrare le persone e avere il contatto umano mi è mancato moltissimo. Rappresenta forse uno degli aspetti più belli e intensi del nostro mondo. Incontri tante persone che ti danno consigli e ti raccontano dei loro trascorsi. È proprio bello.

Come sarà, secondo te, il prossimo campionato?

Difficile per tutti. Proprio perché c’è stata l’interruzione. Chi non ha potuto giocare avrà sicuramente difficoltà tecniche; anche i migliori. Con la società abbiamo parlato e c’è la sicurezza di voler essere competitivi. La squadra è composta da giocatori molto giovani che affrontano per le prime volte un ruolo da protagonisti in Serie A. Ci vorrà un po’ di tempo.

In prospettiva, come immagini la situazione tra cinque o dieci anni? Parlo dell’intero movimento.

Sono un po’ preoccupato. Nella nostra zona non c’è una scuola. E poi comunque per vedere i frutti sarebbe necessario attendere più anni. A livello nazionale ci saranno le elezioni del nuovo presidente. Se Edoardo Facchetti darà spazio a Damiano Tommasi (l’ex calciatore di Roma e Nazionale ndr) potrebbe essere un ottimo volano. È molto appassionato, ha giocato da piccolino, si tratta di una persona semplice ma di grande caratura: potrebbe portare dei benefici.

In un’eterna polemica, gli ex giocatori di tamburello, specie i migliori, sostengono che la pallina viaggiava di più ai loro tempi. Ci puoi dire la tua sull’argomento?

Sicuramente gli uomini di qualche anno fa erano proprio più forti. Ma il tamburello era diverso: si giocava sui 100 metri con una palla più piccola che viaggiava molto più veloce, le distanze da coprire erano più ampie.

Quindi hanno ragione le glorie di un tempo?

Sicuramente i giocatori del livello di Aldo Marello e Renzo Tommasi facevano colpi spettacolari. E il pubblico impazziva. Ma oggi per giocare a tamburello ad un certo livello devi essere un atleta migliore. Una volta i campioni vivevano della loro grande tecnica. Noi facciamo una preparazione invernale mirata: atletica, pesi. Io ho iniziato quando ero a Callianetto. E poi sugli 80 metri di campo il giocatore deve necessariamente ricercare una precisione diversa.

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