“Perchè quel Callianetto era il Pentagono del tamburello vincente”

Gianfranco Mogliotti, il cronista di tante sfida ricorda Fassio (nelle foto con Pino Quai e Roberto Carni)

Beltrami, Petroselli, Dellavalle, Cavagna, Berruti: cinque nomi che per me sono diventati quasi un mantra. Il «Pentagono» costruito da «patron» Alberto Fassio era inattaccabile e allo stesso tempo ultra offensiva. Atleti di collina che non li chiamavamo MB1, AP2 o RD3, ma Manu. Petro, Ricky, Giò e Ing. 
Averli rivisti giocare tutti insieme, martedì sera per un trampolino, mi ha riportato a Bardolino quando capitan Cavagna, fulminò la difesa dei padroni di casa, regalando lo scudetto ai suoi, facendo levare in alto quell’urlo liberatorio, che mi fa vibrare ancora oggi. Conservo il taccuino su cui avevo scritto gli appunti, ma soprattutto ho i visi e le espressioni che erano state con me quel giorno. Ero andato a Bardolino in auto con Roberto Massirio (al volante), mister Aristide Cassullo e, sul sedile posteriore, io e il compianto Ugo Bona. Sapevamo che saremmo andati verso la gloria sportiva, ma in quasi due ore di viaggio, nessuno osò pronunciare la parola scudetto. Al ritorno briglie sciolte e sorrisi. 
La facilità con cui era arrivato il titolo italiano a meno quattro dalla fine del campionato, mi fece subito venire in mente di fare una proposta a “patron” Fassio. Gli dissi nel suo ufficio in corso Dante: «Alberto, il Callianetto ha appena scritto una pagina della storia sportiva astigiana. Sono sicuro, che ne arriveranno altre che saranno tutte celebrate e raccontate da giornali. Ma l’impresa di quest’anno sarà per sempre diversa da tutte. Va raccontata in un libro». «Facciamolo» la risposta decisa del grande imprenditore. Stava per nascere «Callianetto, sogno tricolore».
Nel primo Memorial al «Dezzani-Rosso» ho rivisto insieme ai «Fab five» tutti i protagonisti di un’epopea sportiva. Il batticuore mi è venuto quando ho salutato Mimmo Basso, Tricolore col Viarigi 74 di Accornero. Altro sussulto quando la leggenda Renzo Tommasi ha fatto il mezzovolo, mettendo giù un «15» con un guizzo fulmine.
Basso mi ha poi portato a centrocampo vicino a Luigina e Marella, mamma e compagna di Alberto, che hanno salutato tutti i protagonisti, consegnato loro un tamburello con l’immagine di lui circondato dai trofei.
Nonostante il carattere amichevole, la partita non ha fatto mancare alcuni colpi per palati fini. Dopo il flash di Tommasi, una chiusura di Cavagna che se n’è fregato della legge di gravità per andare a schiacciare una pallina e a strappare applausi. Nemmeno le rasoiate di Petroselli sono arrivate quasi di sottecchi ma sempre pesanti. Dalla panchina Pino Quai, massaggiatore che domenica sarà col Grazzano nella finale del Muro, si faceva accarezzare trasognato dal suono dei tamburelli. E Roberto Carni, zingaro del tamburello, che suggellava: «Saremo per sempre grati ad Alberto per questo gioiello che ci ha regalato».

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