Il terzino e il mito. Nella bella foto d’archivio (di Silvia Muratore) Lorenzo Bolla davanti ad una gigantografia di Felice Bertola.
Premiato a Viale con il "Trofeo Alegra" (foto di Pier Giuseppe Bollo)
Lorenzo Bolla, 34 anni, da Diano D’Alba, considerato (a ragione) «il re moderno» del terzini del balòn, ha l’abbronzatura e la modestia dei vecchi campioni contadini. Anzi, di loro mantiene anche la prudenza dialettica: quella dei giocatori venuti dalla terra che infiammarono strade e piazze di paesi ma che oggi non esistono più nella loro essenza, nel senso di storia, di dialetti, di sfide.
Bolla, premiato lunedì sera a Viale con altri protagonisti degli sferisteri, di quel piccolo mondo antico ha conservato i valori: per il resto è un giocatore e un ancor giovane contadino diplomato alla prestigiosa scuola enologica di Alba, che dal padre Roberto, di «appena» 64 anni e dalla madre Viviana, ma anche dal nonno Francesco ha ereditato la passione per la vigna e il vino: Dolcetti e Barbere, Nebbioli e Chardonnay, ma anche noccioleti. Un’azienda di 9 ettari sul «Bric» di Diano, a quota 400 metri, «dove si respira l’aria pura della Langa» da un balcone di vigne che affaccia sulle montagne.
Tra terra e pallone
Lorenzo è cresciuto tra zolle e balòn, con gli zii Mario e Augusto che furono a fianco (Anni ’50) di Defilippi e dei Corino (Beppe e Sergio). Tutti terzini, naturalmente. Anche se Lorenzo cominciò come battitore: «Me la cavavo anche benino, ma crescendo mi sono accorto che il richiamo del muro, sotto il cordino era più forte». Il tempo di abbandonare, progressivamente, la pratica di altri due sport (volley e calcio: attaccante in Seconda categoria e tifo per il Milan, come il padre che adorava Rivera «ed era uno di noi, nel senso di piemontese, di Alessandria») e poi la scelta di specializzarsi. Così sono venuti 6 scudetti: 2006 ad Alba con Corino, 2011 e 2013 a Canale con Campagno, 2015-16-17 ad Alba e gli ultimi due a Castagnole Lanze tutti con Vacchetto e la sua Araldica. Come dire: il gotha dei battitori. «Ho avuto la fortuna di avere eccezionali maestri come Gianni Rigo (ora dt Araldica a Castagnole), Domenico Raimondo (Albese) e Ernesto Sacco (Canalese). Mi hanno insegnato i trucchi del mestiere: poi giocare con gente come Corino, Campagno e Vacchetto certo aiuta». Ora Bolla ha messo la sua arte al servizio dell’altro Vacchetto, Paolo, capitano di Spigno (Araldica ovviamente) e di lui e degli altri compagni dice: «Paolo ha grandi potenzialità, secondo me ancora molto inespresse. Deve solo convincersi di poter puntare al bersaglio grosso. La squadra con Giampaolo spalla e il mio compaesano Lele Prandi è forte e completa e lo sponsor Araldica è un grande sponsor». E sui due grandi rivali: «Massimo Vacchetto è anche un amico vero: la sua classe è talmente pura da stupire anche chi gli gioca a fianco. Dovrà solo avere il tempo di tornare al top dopo l’operazione alla spalla destra. Ma quello che ha già fatto vedere in queste prime partite, in una fase di quasi convalescenza, è impressionante». E su Campagno: « È potenza allo stato puro, ma negli ultimi anni è migliorato tecnicamente in modo esponenziale. E aggiungerei anche Federico Raviola, il cosiddetto “terzo incomodo” premiato con me a Viale. Ogni anno cresce e cresce ancora: penso che ne vedremo delle belle». E poi torna l’atavica modestia quando parla di sè: «Sarò anche bravo, ma i Rigo, gli Alossa, i Boetti, i Ghigliazza a cui mi sono ispirato sono stati e restano dei modelli difficili da superare».
Il «montepunti»
Un «mestiere», quello del terzino che non trova più vero appeal tra i giovani:. Ma non solo per quel ruolo: «Il problema è complesso. Le società - dice Bolla - sono poco invogliate a investire sui giocatori in quanto, anche per il montepunti imposto dalla Federazione, riescono ad acquisire buoni giocatori a basso prezzo. Così spesso i ragazzi sono poco invogliati a praticare questo sport e scelgono altre discipline. Ma il livello si abbassa e di conseguenza scendono anche qualità e quantità di allenamenti e tempo che i giocatori dedicano alla pallapugno».
Il contadino del balòn ha le idee chiare: «Per fare un grande vino ci vogliono grandi terre e grandi uve. Ma non tutte le vendemmie sono uguali».