Pallapugno: domani alle 14,30 nella finale del "Memorial Santi". Roberto Corino 37 anni
Non sarà una sfida qualsiasi. Perché quella di domani, alle 14,30, sul più suggestivo sferisterio naturale (Bubbio) che esista e nella finale del «Memorial Santi» (dinastia di notai che fanno capo al patron Gian Paolo Bianchi) andrà in scena un evento che segna il passaggio, non solo ideale, tra due epopee del balòn: quella di uno dei fenomeni di oggi, Massimo Vacchetto, fresco di conferma al vertice delle classifiche tricolori (quarto scudetto, ad appena 24 anni) con l’Araldica Castagnolese e il Bubbio di Roberto Corino, 37 anni, 4 volte scudettato, che lascia la platea da battitore.
Una decisione certo sofferta, ma ineludibile. «Non era più il mio tempo: è ora di scalare a spalla. Il prossimo anno, a Dolcedo, darò una mano e qualche consiglio a Giordano, «il ragazzo della Liguria» aveva detto Corino, sabato, appollaiato su un «trespolo» di acciaio a commentare in tv la finale vinta da Vacchetto 11-10 sulla Canalese di Campagno.
Non ce ne vorrà Vacchetto se, per una volta, parleremo poco di lui e tanto di Corino: che ha perso la «zazzera» della giovinezza e che ora, rasato come certi guerrieri indiani, appare davvero un po’ come l’ultimo dei «mohicani» di un balòn che non c’è più. È stato il migliore dei suoi anni, si è segnalato anche per il carattere focoso, la verve dialettica, un certo modo di vivere lo sport tra tecnologia e tradizione, ma anche un po’ bohemien nel suo modo di essere. Vederlo domani, per l’ultima volta in battuta, da capitano, regalerà emozioni e ricordi. Corino ha scelto consapevolmente di scendere dal suo trono di re di una squadra: lascia in eredità doti tecniche e umane speciali. È stato un grande del balòn e la gente lo ricorderà così, anche quando non sarà più il leader. È la legge dello sport. E della vita.
Una decisione certo sofferta, ma ineludibile. «Non era più il mio tempo: è ora di scalare a spalla. Il prossimo anno, a Dolcedo, darò una mano e qualche consiglio a Giordano, «il ragazzo della Liguria» aveva detto Corino, sabato, appollaiato su un «trespolo» di acciaio a commentare in tv la finale vinta da Vacchetto 11-10 sulla Canalese di Campagno.
Non ce ne vorrà Vacchetto se, per una volta, parleremo poco di lui e tanto di Corino: che ha perso la «zazzera» della giovinezza e che ora, rasato come certi guerrieri indiani, appare davvero un po’ come l’ultimo dei «mohicani» di un balòn che non c’è più. È stato il migliore dei suoi anni, si è segnalato anche per il carattere focoso, la verve dialettica, un certo modo di vivere lo sport tra tecnologia e tradizione, ma anche un po’ bohemien nel suo modo di essere. Vederlo domani, per l’ultima volta in battuta, da capitano, regalerà emozioni e ricordi. Corino ha scelto consapevolmente di scendere dal suo trono di re di una squadra: lascia in eredità doti tecniche e umane speciali. È stato un grande del balòn e la gente lo ricorderà così, anche quando non sarà più il leader. È la legge dello sport. E della vita.