Il tamburello portacomarese

Il nostro statistico di fiducia quello che ci consente di abbinare alle impressioni visive un approccio sistematico eccolo a raccontare una storia di uno tra i bastioni più rinomati, in campo tamburellistico, quello di Portacomaro (il Torrione) e dei suoi giocatori più famosi. 

 Terra ancora oggi oltre ad essere sede permanente della Coppa Italia a muro di grandi personaggi. Dal campione più amato Franco Capusso, a comunicatori come Carlo Cerrato, penne brillanti come Franco Binello, dirigenti come Roberto Gino più tutto l'entourage dai Bonzano, i Diliberto, Franco Zitti, Aurelio Tabacchi, Tino Daccà, Riki Durando


FIPT - Concorso Letterario “Questo Amore di Tamburello”

Sono circa le ore diciotto di un mercoledì estivo degli ultimi anni cinquanta del secolo scorso, puntuale sulla piazza di Portacomaro si ferma, come ogni giorno, la vecchia corriera blu proveniente da Asti, tra i molti passeggeri, di ritorno dal mercato cittadino, c’è un giovane alto di corporatura robusta, stringe tra le mani una vecchia cartella di scuola, non porta libri, ma la pietanziera che conteneva il suo frugale pasto consumato nel breve intervallo di turnista alla Fiat. Si avvia verso la sua casa posta nella contrada “sottochiesa” (Via Alfieri) attraversando il campo del gioco del tamburello, al fondo del quale suo padre lo aspetta: un breve saluto, poi i due si scambiano la cartella con un tamburello; non rientra nemmeno in casa ma è subito pronto a “battere” la palla verso i compagni di allenamento già presenti sul campo. Lui è Ercole Rasero, io sono un bambino di poco più di 11 anni che osserva quasi giornalmente questa scena. Ora sul campo ci sono gli adulti che si allenano e noi bambini li osserviamo dal bordo, tra loro ci sono: Aldo Calosso, Carlo Verrua (detto il mancin), Gianni Gambaruto, Attilio Gabri, terzino eccezionale, l’anziano Scassa Ubaldo che gioca ancora molto bene rispetto all’età, e altri più o meno giovani; il nostro compito adesso è quello di recuperare le palle che finiscono nel cortile delle scuole sopra al bastione, o giù dalla “riva di gaggie” sotto il campo. Lo spettacolo è stupendo i tamburelli: “Campedelli e/o Giacopuzzi” e qualche vecchio: “Berruti e/o Giaccone” di vera pelle (la plastica non esisteva ancora) schioccano seccamente nel ricacciare la palla che vola a mezz’aria come una saetta innescando effetti e giravolte contro il muro medioevale del ricetto; i giocatori corrono a destra e a sinistra, sollevando nuvolette di polvere, per rincorrerla quasi in una danza senza musica, ma ritmata dal tonfo delle pelli. Giocheranno fino al tramonto fino a quando il sole illuminerà l’ultimo metro del campo. Per tutti l’attesa è grande, presto ci sarà la festa patronale di San Bartolomeo (24 agosto) e per allora i giocatori dovranno essere pronti atleticamente per affrontare le squadre che verranno a contendersi il prestigioso trofeo. Sarà gara per tutta la durata della festa parteciperanno tutti i più grandi giocatori del momento, arriveranno: l’atletico Mara che si arrampica letteralmente sul muro per intercettare la palla, Cagna, Pentore, Riva, e molti altri suddivisi nelle varie “quadrette”: perché allora le squadre erano composte da 4 elementi. Celestino Ponzone, battitore fantastico, rientrerà da Torino, alla casa paterna per dare manforte alla squadra locale. Era sempre un’ emozione vederlo battere la prima palla, prendendo la rincorsa dalla “stercia” (strettoia) tra le case in fondo al gioco, riusciva ad infilarla dietro alla sporgenza del “torrione” mettendo in forte difficoltà il “ricacciatore” guadagnando molto spesso il punto. Non tutti forse sanno che i giocatori di allora indossavano sempre una divisa composta da pantaloni lunghi in cotone di colore bianco e la maglia di lana di colore diverso per le due “quadrette”; le scarpe erano le “Superga” da ginnastica in tela blu e suola in gomma bianca. Gli arbitri ufficiali erano già allora, come adesso, in divisa tutta bianca. Il fondo del campo era in terra battuta e, nell’occasione della festa, veniva sistemato aggiungendo uno strato di sabbia finissima e cilindrato per bene per molti giorni ed era interdetto al gioco di noi bambini: “non si doveva rovinare” dicevano gli organizzatori; per noi erano disponibili due piazzette vicine più che sufficienti ed alla nostra portata. Un apposito  steccato chiudeva l’accesso e la vista al campo: gli adulti pagavano il biglietto, ma noi bambini potevamo accedere gratuitamente a patto però di continuare a recuperare le palle finite fuori gioco. Tra i bambini che si divertono ci sono anche dei futuri campioni come: Franco Capusso (2 volte campione italiano), Riki Durando, Francesco Durando, Eros Capusso, e tanti altri che si limiteranno a divertirsi praticando questo sport. Il bastione con la sua torre sono lì quasi da mille anni, il campo del tamburello è presente però solamente da circa 200 anni in quanto prima era coltivato e gli sport sferistici si praticavano sull’attuale Piazza Marconi subito adiacente. A Portacomaro si è anche praticato il gioco del pallone con bracciale ed elastico che ha dato famosi campioni dell’epoca come: Cerrato Battista (citato dal De Amicis nel libro: ”Gli azzurri e i rossi”) il nipote Cerrato Rinaldo, Canepa Egidio. Per noi portacomaresi il tamburello fa parte della vita di ogni giorno, quasi tutti lo hanno praticato anche solo per puro divertimento senza pretese di diventare, un giorno, dei campioni. Ti entra nell’anima a poco a poco diventando un caro amico del quale non riesci poi a farne a meno. Anche se non lo pratichi più da una vita quando senti il tonfo, ormai un po’ attutito dei tamburelli di plastica, la tua anima ti sobbalza dentro e le gambe ti portano, quasi automaticamente, a bordo campo a vedere le “nuove leve” ed è un piacere osservare che questo sport continua a “mietere nuove vittime”: è la vita che continua inesorabile il suo percorso i “vecchi giocatori” lasciano il posto a quelli in erba tra i quali speriamo nasca qualche campione per continuare la tradizione della “grande Famiglia portacomarese”!!!!

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