Un’eredità culturale con radici solide.  Servono progetti concreti per il futuro

Non lamentarsi del successo del padel, ma riflettere su cosa possiamo imparare da esso. 

E perché non unire le forze con i «cugini» del tamburello, un’altra disciplina nobile e antica, che condivide con noi la stessa anima popolare e la stessa necessità di rinnovarsi? 

I tempi cambiano, come le mode, i linguaggi, i gusti. È un processo naturale, inevitabile, forse anche giusto. Guardare con nostalgia al passato può essere umano, ma non serve a nulla se non diventa spinta per costruire qualcosa di nuovo. La pallapugno – o come amiamo chiamarla noi, il balon – non ha bisogno di essere difesa come reperto da museo, ma di essere riscoperta come parte viva del futuro. Si parla tanto del «boom del padel», della sua crescita esponenziale e della sua capacità di attrarre nuovi appassionati, giovani e meno giovani. Ben venga: ogni sport che porta movimento, socialità e divertimento è un valore aggiunto per la comunità. Ma sarebbe un errore contrapporre in modo sterile la novità alla tradizione, come se fossero mondi inconciliabili. La verità è che la pallapugno esiste da oltre due secoli, e se si guarda più lontano, alle origini del gioco con la palla colpita col pugno o con strumenti simili, si arriva fino alle antiche civiltà mesoamericane, ai Maya che già praticavano giochi di squadra in cui la palla era simbolo di vita e forza. Questo ci ricorda che il balon non è semplicemente «uno sport locale»: è un’eredità culturale antichissima, che ha trovato nelle nostre valli piemontesi e liguri una delle sue espressioni più pure e identitarie. Non è solo una disciplina, ma una forma di linguaggio, di appartenenza, di memoria. E noi, oggi, siamo i custodi di questa eredità. Non per merito, ma per dovere. Ci è stata affidata dai nostri anziani, e prima ancora dagli avi, che l’hanno custodita con passione e sacrificio, portandola fino a noi. Essere custodi, però, non significa limitarci a conservarla com’è.
Significa adattarla, farla evolvere, mantenerla viva. La pallapugno ha attraversato guerre, carestie, emigrazioni, eppure è rimasta.
Oggi affronta una sfida diversa: quella dell’indifferenza e della dispersione, in un mondo che si muove veloce, dove tutto sembra consumarsi in pochi anni, anche nello sport.
Il padel – come lo squash, come altre discipline che hanno avuto il loro momento di gloria – ha saputo cogliere l’attimo emotivo, la spinta della moda, l’attrazione per ciò che è «nuovo». Ma la moda, per definizione, passa.
E quando passerà, resterà ciò che ha radici vere. E noi le radici le abbiamo. Profonde, solide, autentiche. Il punto, quindi, non è lamentarsi del successo del padel, ma riflettere su cosa possiamo imparare da esso. Perché il padel non è cresciuto per caso: è cresciuto perché ha saputo essere accessibile, divertente, moderno, ben organizzato e supportato da strutture adeguate. Questo è ciò che dobbiao fare anche noi con il balon. Non basta la passione, servono idee, infrastrutture e collaborazione. È tempo di pensare al futuro e di immaginare progetti concreti. Per esempio, perché non realizzare una struttura coperta che permetta di giocare anche nei mesi invernali o nelle giornate di pioggia? Sarebbe un passo fondamentale per dare continuità all’attività agonistica e formativa, rendendo il balon più accessibile e praticabile tutto l’anno. E perché non unire le forze con i «cugini» del tamburello, un’altra disciplina nobile e antica, che condivide con noi la stessa anima popolare e la stessa necessità di rinnovarsi?
Insieme si può costruire un modello sostenibile, condividere spazi, promuovere eventi comuni, coinvolgere scuole e giovani. È nella collaborazione, non nella contrapposizione, che si trova la vera innovazione. Non dobbiamo avere paura di guardare avanti. Il balon  può e deve diventare moderno: non nei suoi valori, che restano immutati, ma nel modo in cui si presenta al mondo. Servono comunicazione, apertura, creatività. Servono progetti con le scuole, tornei giovanili, eventi nei centri storici, giornate di promozione nelle piazze. Serve raccontare la bellezza di questo sport con parole e immagini nuove, in modo che chi lo scopre per la prima volta ne percepisca la potenza e la poesia. In fondo, la pallapugno è uno sport che racchiude l’essenza stessa del nostro territorio: forza, ingegno, coraggio, rispetto delle regole e degli avversari. È fatta di sudore e di terra, di amicizia e rivalità, di piccoli paesi che diventano grandi arene di passione. È qualcosa che appartiene a tutti noi, piemontesi e liguri, italiani. È un patrimonio che non possiamo lasciare spegnere, ma che dobbiamo trasformare in una fiaccola per il futuro. Non servono lacrime di nostalgia, ma energie di speranza. Il passato non si piange: si onora, si studia, si tramanda.
E il modo migliore per onorarlo è renderlo utile al presente. Se i nostri nonni hanno giocato sulle piazze sterrate con le mani fasciate e la «svertia» ai pantaloni, noi possiamo costruire palestre moderne, campi coperti, tornei giovanili e un movimento solido. Non per imitare il padel, ma per dimostrare che la tradizione, quando sa rinnovarsi, vale più di qualsiasi moda.
La pallapugno non è solo uno sport del passato: è una promessa per il futuro. E questa promessa dobbiamo mantenerla insieme, con passione, visione e orgoglio. Perché il balon non muore, finché qualcuno lo gioca, lo ama, e crede ancora che una palla colpita con forza e cuore possa raccontare la storia di un popolo intero. 

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