"Diamo certezze ai nostri vignaioli per tornare più forti"

GERMANO BOSIO. Lo storico enologo delle Cantine Capetta fa il punto sul mondo del vino dopo l’emergenza coronavirus.

Amico personale di Massimo Berruti, Germano brinda con l'Asti Secco Capetta con Fabio Gatti della Neivese per la conquista della Coppa Italia di serie B 2019

Molti italiani hanno imparato a conoscere i «Nobili vini del Piemonte», ma anche di Langhe, Astigiano e Roero, da quello spot di «Duchessa Lia» diventato ormai un refrain popolarissimo. Un'invenzione geniale delle Cantine Capetta di Santo Stefano Belbo, 15 milioni di bottiglie prodotte ogni anno (dall'Asti e dal Moscato d'Asti ai grandi vini del territorio)da un gruppo familiare che occupa una quarantina di dipendenti e dà lavoro a centinaia di conferitori di uve tra Cuneese, Astigiano e Acquese. La forza di una famiglia che ha il suo caposaldo nelle sorelle Maria Teresa, Carla, Gabriella Capetta e nel fratello Riccardo. E che ha nello storico enologo Germano Bosio (è il marito di Maria Teresa) delle 55 vendemmie, un portavoce naturale, per la simpatia e carica di umanità del personaggio. Un osservatorio privilegiato, quello dei Capetta, per capire dove va il mondo del vino dopo il coronavirus.
Bosio, che futuro c'è per queste vigne e per queste cantine?
«Non sarei così pessimista come sento a volte in giro in questi giorni. A patto che si mantenga il percorso di qualità cominciato ormai da anni e che ha reso celebri i nostri vini (parlo di tutto il comparto, ovviamente, in Italia e nel mondo). Ma devono sussistere a mio avviso due condizioni...».
Quali?
«Ci sarà per forza di cose un calo delle rese (a fronte di prospettive di stoccaggio seguite al blocco commerciale di questi mesi difficili mesi), ma questo non sarà certamente un male, perchè consentirà di avere prodotti ancora più eccellenti. Però si dovrà trovare il modo di compensare il calo di produzione con certezze di reddito da assicurare ai produttori. Che sono il motore di tutta la filiera. Il contadino non deve diventare vittima di speculazioni sul prodotto e per fare questo deve avere un sostegno economico adeguato ».
Come è stato per voi questo periodo di emergenza?
«Noi abbiamo un mercato molto variegato, legato anche alla grande distribuzione. I risultati sono stati più che incoraggianti. Ma dobbiamo sfruttare questo momento di apparente debolezza commerciale».
In che modo?
«La qualità di cui parlavo prima non deve far diventare il vino sempre più un prodotto di nicchia, per pochi. Ma deve essere a disposizione di tutti. Perchè così si abitua il consumatore medio a bere bene e a prezzi adeguati».
Il Moscato d'Asti resta il vostro caposaldo?
«E' la nostra bandiera che sventola alta con gli altri Nobili vini del territorio, di cui parliamo nel nostro spot: da Barolo al Grignolino, dalla Barbera al Dolcetto, alla Freisa». 
L'Asti Secco?
«Ecco, l'Asti Secco poteva essere un altro testimonial di una certa voglia di innovazione e cambiamento. Noi continuiamo a crederci, ma certo (e mi sforzo di essere diplomatico) finora si è persa più di una occasione per valorizzarlo».
Ottimista comunque?
«Sempre: sconfitto il virus ne usciremo tutti più forti. Come sempre». 

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