"Dopo il grande calcio torno al tamburello amore di gioventù"

DAMIANO TOMMASI. L'ex presidente dell'associazione calciatore scudettato con la Roma nel 2001 ritrova un'antica passione

Con campionissimi come Beppe Bonanate stiamo cercando idee nuove su questo sport

Da noi nel Veronese i veri big sono altri Tommasi. E che bella la pallapugno

Ha giocato a tamburello fino ai 13 anni: «In più ruoli, da più grandicello stavo a fondo campo dove ci vuole colpo, ma anche visione del gioco». E ancora: «Mi alternavo col calcio, uno sport al sabato e uno alla domenica».
Poi Damiano Tommasi - 46 anni, per 9 presidente dell'Associazione calciatori, scudettato con la Roma 2001 di un certo Totti e di Capello, una Supercoppa, un trionfo agli Europei Under 21 con la Nazionale (1996) e molto altro - da quegli esordi tamburellistici ha dovuto scegliere la sua strada. «Visto che a calcio ero bravino ho cominciato quella carriera lì. E' andata bene, direi, ma il tamburello mi è rimasto nel cuore».
Tommasi, il suo nome, tamburellisticamente parlando, è tornato di attualità in questi giorni, dopo una riunione nelle terre veronesi del Garda e della Valpolicella, a Bardolino. C'era anche l'astigiano di Montechiaro Beppe Bonanate ...
«C'era un gruppo di amici vecchi e nuovi. Per me la presenza di Bonanate è stata una bellissima sorpresa. Lui è stato un grande del tamburello».
Beh, se lo dice che un pochino di grandi se ne intende ...
«Senta io non voglio parlare troppo di me e del calcio. Sono tornato nelle mie terre, dove sono cresciuto a pane e tamburello. Ci giocavano mio nonno Alfonso, classe 1897. E mio padre Domenico, 79 anni, primo scudettato in famiglia, serie C. Di tamburello naturalmente. Indimenticabili i loro racconti di piazze, sferisteri, cortili pieni di gente che guardava e giocava. Il tamburello è nelle nostre radici».
Non è più così adesso ...
«I nostri paesi sono diventati fluidi, da noi come nel Monferrato e da altre parti. Il tamburello era un gioco identitario. Si tratta forse di ritrovare, ripescare un po' di quella passione. Ecco perchè ne ho parlato con gli amici...»
Sembra un discorso da candidato presidente federale in pectore. A inizio del 2021 ci saranno le elezioni per i nuovi vertici della Fipt...
«Non mi faccia dire cose che non esistono. Ho parlato con il presidente federale Edoardo Facchetti, che stimo come persona ancora prima che come dirigente. Gli ho offerto una mia disponibilità a collaborare, a dare una mano...»
Però se qualcuno le offrisse il sostegno per una candidatura lei acetterebbe?
«Tanto per essere ancora più chiari: io non sono di quelli che arrivano belli freschi e dicono io qui io là... E non voglio spaccare nulla. Federazioni come questa vivono della collaborazione di tutti. Non esiste che uno divida, bisogna costruire insieme. Certo, vorrei portare delle idee, perchè il tamburtello è un grande patrimonio di culture e di cultura, ma anche un gioco che ha perso molto del suo seguito per ragioni varie, che gli appassionati conoscono meglio di me. Sono cambiati i tempi, ma se si riesce a ridare vigore alla pratica, se si allarga la base, si può ripartire. Ma, sia chiaro, non ho bacchette magiche. E ho dato questa disponibilità una volta conclusa la mia esperienza all'Assocalciatori che rendeva incompatibile la carica con altri impegni in altre federazioni».
Lei porta comunque un cognome che nel tamburello è sinonimo di campioni indimenticabili...
«Ho molto ammirato Giuliano Tommasi, conosco Renzo, un mito per tutti noi. E contro Stefano, che naturalmente di cognome fa Tommasi, giocavo da giovane».
Da calciatore ha girato il mondo. Ma ha continuato a seguireil tamburello?
«Sempre, anche quando ero alla Roma chiedevo: che cosa ha fatto il San Floriano? Anche mia moglie Chiara e i miei sei figli portano nel Dna un po' di questa passione...»
Qualcuno di loro gioca a tamburello?
«I due maschi di 10 e 14 anni per ora preferiscono il calcio... Ma mai dire mai...
Lei è stato uno dei beniamini della grande Roma. Una città che è anche un enorme paese, un po' come quelli del tamburello..
«C'era la stessa passione. I romanisti sono legati alla maglia come lo eravamo noi ai nostri campanili. Per questo mi incuriosisce la realtà del tamburello a muro, dove ancora si gioca nelle piazze. E anche quella della pallapugno, altro sport dove i giocatori sono grandi atleti. Le radici dei nostri avi, la nostra storia, passa da quei borghi, che siano in Langa o Monferrato o in Valpolicella o in Trentino. E dai noi il tamburello è una culla di vita»

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