Paolo Bisesti

Oggi su l'Adige la grande sfida Nicolò CORRADINI - Paolo BISESTI

«Mvt», il campione trentino di sempre   LINK PER VOTARE

PAOLO BISESTI nato a Rovereto (Tn) il 9/4/1969 operaio specializzato 4 volte campione d'Italia di tamburello (2 Aldeno, 1 Castellaro e Borgosatollo), 3 Coppe Europa, 2 Supercoppe, 1 Coppa Italia, una decina di presenze in nazionale.

«Ad Aldeno i primi a portare la farfalla del Trentino sulla maglietta: veniva anche Malossini»

È uno degli sport più antichi al mondo, praticato già dai Romani e in tempi più recenti dai reali di Casa Savoia. In Trentino il tamburello ha grandi tradizioni e atleti come Paolo Bisesti che ne hanno fatto la storia.
Come ha cominciato?
«In casa mia lo sport l’abbiamo sempre praticato con passione. Mio padre Luigino ai suoi tempi vinse 33 gare da dilettanti tanto da meritare il passaggio nei professionisti. Per quanto mi riguarda, fin da piccolo ero sempre in piazza ad Aldeno dove si giocava a calcio o a tamburello visto che era lo sport di paese. Ho iniziato presto e a 15 anni ho debuttato in Serie A giocando fino a 40 anni».
Ai suoi tempi era quasi un professionista.
«Per la mentalità di sicuro, per i soldi no di certo. Dal punto di vista della preparazione ho sempre cercato di non sgarrare: avendo avuto allenatori che venivano dal volley c’era confidenza con diete, tabelle di allenamenti e recuperi. A me non pesava la disciplina perché mi piaceva e sul campo vedevo i risultati».
Ha avuto un modello a cui ispirarsi?
«Il giocatore di tamburello più forte di sempre è stato il veronese Renzo Tommasi, di cui in camera avevo l’autografo. Come persona e come compagno non posso non ricordare Walter Marcazzan».
Lei pratica altri sport?
«Da giovane vivevo di sport. A fine carriera per tenermi in forma ho iniziato a praticare sci di fondo. Mi sono appassionato e da quando ho smesso ho completato 11 volte la Marcialonga con il 504esimo posto come migliore risultato in 3h e 50’. Inoltre io e mia moglie siamo grandi appassionati di biathlon e tifosi di Dorothea Wierer».
Dalla “balonzina” (nome antico del tamburello) alla carabina, il passo non è breve.
«Eppure è uno sport che mi piace perché fino all’ultimo rettilineo non c’è mai la sicurezza della vittoria».
Qual è stata la soddisfazione più grande della sua carriera?
«Per la prima chiamata in Nazionale ero agitatissimo, ma i ricordi più belli sono legati a due scudetti. Quello del 1990 con l’Aldeno perché era il nostro primo titolo e il secondo scudetto che arrivava in Trentino dopo quello della Volani Rovereto di pallamano. Probabilmente siamo stati i primi a portare la farfalla del Trentino sulla maglietta: c’era un bel seguito e anche sui giornali ci dedicavano tante pagine. Veniva a vederci anche l’allora presidente della Provincia Malossini. Il secondo momento è la stagione 1998 con il Castellaro. Con me c’erano altri due trentini: Manuel Beltrami e l’allenatore Quinto Leonardi. Abbiamo vinto tutto quello che si poteva vincere».
E se invece di parla di delusioni?
«Il fatto che il tamburello non sia sport olimpico».
Come mai rispetto a quegli anni il tamburello ha perso prestigio?
«Forse perché è uno sport di paese, anche se ha radici storiche. In tv hanno anche provato a lanciarlo, ma non ha suscitato grande interesse».

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