Tambass, ricette antiche per rilanciare il torneo

Una sfida a muro sulla piazza-sferisterio di Grazzano

Le proposte di un cronista appassionato. Perché non tornare alla battuta a muro e alle squadre da 4?

Sembra di capire che il tamburello nel suo insieme cerchi di trovare nuovi spunti per guardare avanti e rinnovarsi. Compito non facile, visti gli incauti cambiamenti introdotti mezzo secolo fa. Le regole fondamentali, che prima di allora ci avevano fatto amare il nostro sport sono del tutto sconosciute a chi oggi è under 60. Senza voler dare a nessuno consigli non richiesti, ma per conto dei vecchi appassionati di tambass , mi permetto di ricordare un paio di cose agli amici under 60, che per evidenti differenze temporali non hanno vissuto i tempi in cui lo sport della nostra gente era passione, coinvolgimento, socializzazione. Sto parlando di cose dimenticate che hanno per nome battuta a muro e quadrette.
La battuta a muro, entusiasmante gesto atletico che i grandi del passato coltivavano fin da ragazzini, venne accantonata nel 1976 agli albori di quel Torneo a muro del Monferrato, oggi «impropriamente» definito campionato italiano. Peccato non esitano filmati delle fantastiche battute di Celestino Ponzone e di Franco Calosso che, mettendo in difficoltà fior di campioni, lambivano le torri di Portacomaro e Moncalvo suscitando entusiasmi da tempo perduti. Il motivo dell’abbandono che i vertici del Gran consiglio del tambass di allora (Enrico Bacchiella, Adriano Fracchia, Guido Ravizza) accettarono con l’amaro in bocca stava nel fatto che ripartendo un nuovo corso i giovani battitori non possedevano la destrezza necessaria. I tre si fecero promettere che a destrezza acquista la battuta a muro sarebbe stata reintrodotta. Peccato che nessuno dei giovani intendesse cimentarsi in qualcosa che non conosceva, quasi una scoria del passato. Tra il 1999 e il 2002 il nuovo Gran Consiglio ci riprovò, ma riuscì soltanto a consentire la battuta a muro ai quintetti ritenuti meno forti. Il giudizio si basava su semplici evidenze e non sugli anacronistici punteggi di oggi. 

Esperimenti
Assieme, si introdusse per la squadra meno competitiva anche il vantaggio di cinque metri in battuta nelle partite esterne. Niente da fare, dal 2003 non se ne parlò più: quel gesto del passato era inteso come aiuto ai più deboli e non come manifestazione di spettacolare e raffinata tecnica. Questa è stata la seconda operazione chirurgica, voluta in Monferrato, che sancì la grave e purtroppo attuale mutazione genetica che ha cambiato il tambass, stravolgendolo. La prima, giusto nei primissimi anni Sessanta, venne invece firmata dalla Fipt con il passaggio delle formazioni da quattro a cinque giocatori. Operazione che venne giustificata dall’abbondanza di giocatori provetti. Mi pare che oggi la situazione, almeno nel tambass, non sia più così. Dopo tanti anni mi chiedo se chi volle quella modifica si rendesse conto che in tal modo rinnegava la storia mutando uno sport basato sull’individualità del capitano, del campione, del numero uno, in uno sport collettivo che perdeva la sua identità spalmandosi tra ricacciatore, spalla e mezzovolo. Per cinque anni, a cavallo tra i due secoli, provò a dare una svolta Beppe Conrotto che nel suo sferisterio di Cocconato spese di tasca propria ingenti cifre per ingaggiare i migliori giocatori e ospitare dirigenti di società. Cinque anni di sfide agostane tiratissime in cui Conrotto auspicava due innovazioni. Partita “Uno contro uno” e partita “Tre contro tre”. Andò meglio il secondo esperimento, ma il niet emesso dalle società del Lombardo-Veneto fu fatale. Chiesi ragione al presidentissimo Emilio Crosato che sembrò cautamente possibilista replicando così: «Molto bello il tre contro tre se in campo ci sono sei campioni. Ma se il livello tecnico si abbassa?». Giustificazione plausibile che forse intendeva non chiudere le porte, che la quasi totalità dei sodalizi e il consiglio federale (con il parare contrario del presidente della commissione tecnica Pellegrino Sereni) sbarrarono col chiavistello. Di certo con il disappunto di Alberto Botteon che nell’ultima sfida battè in finale 9-2 il favorito Manuel Beltrami vincendo la posta in palio di ben 5 milioni di lire. 
Almeno in quattro, a muro e soprattutto a libero, si sveltirebbe il gioco evitando estenuanti noiosi palleggi che disaffezionano noi dei vecchi tempi e anche chi vorrebbe approcciarsi al tamburello. Vorrei fosse chiaro agli under 55 che il tambass di mezzo secolo fa era una cosa e che quello di adesso e tutt’altra cosa appunto con il Dna mutato in peggio. Un’ultima considerazione e poi tolgo il disturbo. La palla a pugno ha ritoccato, circa 20 anni fa, soltanto la segnatura delle cacce: da due a quattro. Operazione intelligente e meritoria che ha sveltito il gioco. Se qualcuno proponesse al balon di giocare in cinque senza la battuta a muro verrebbe accusato di pazzia o di blasfemia.  

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